Giancarlo Perbellini brevetta la (sua) cotoletta cotta e cruda
Come già Gualtiero Marchesi, anche Giancarlo Perbellini ha rivisitato la ricetta milanese. Come? E perché brevettare un piatto?
Si chiama Milanese cotta e cruda ed è l’interpretazione della cotoletta non solo realizzata ma persino brevettata dallo chef Giancarlo Perbellini. Come scrive il due stelle sulla sua pagina Facebook, “con l’apertura della Locanda Perbellini Milano si è acceso in me il desiderio di rivisitare alcuni grandi classici della tradizione culinaria meneghina“. Così è nata la cotoletta Perbellini. Che cosa ha di tanto speciale? Questo piatto è l’apoteosi dei contrasti, “una combinazione di elementi opposti e complementari”: da un lato la cotoletta è cotta, dall’altro è cruda.
In questo modo è possibile “far vivere al palato una doppia sensazione, gustosissima, netta ed equilibrata”, scrive ancora lo chef. Una ricetta che mette insieme due diverse tecniche di cottura come simbolo di contemporaneità con l’unione del passato e del presente, della tradizione e delle nuove tendenze. Non a caso c’è una citazione di tutto rispetto. È quella al maestro Gualtiero Marchesi che per primo ha interpretato uno dei grandi piatti della cucina milanese, servendolo a cubetti e lasciandone il cuore rosato all’interno di una panatura croccante in modo da preservare i succhi e il gusto della carne. Sia Marchesi che Perbellini non hanno però dimenticato alcune delle caratteristiche proprie di questa specialità: la materia prima è rigorosamente di vitello e ha uno spessore importante, a differenza della Schnitzel viennese, per esempio, che è invece sottilissima e può essere anche a base di carne di maiale.
Le due tecniche di cottura proposte da Giancarlo Perbellini non hanno solo un valore simbolico ma permettono di creare un interessante contrasto di consistenze. Il morbido dell’interno esalta, infatti, ancora di più la superficie croccante. E l’idea degli opposti che si attraggono viene espressa anche visivamente: la cotoletta ha la forma di due bocconcini tondi, tagliati a metà. In questo modo si ricavano due mezzelune che si contrappongono e si completano nel piatto. Una con la superficie di colore rosato, quasi cruda, mentre l’altra con la panatura cotta e croccante. Il tutto accompagnato da patate al pistacchio e maionese al limone.
Come sia possibile tutto questo è un mistero o meglio un brevetto. “Proprio per l’originalità della ricetta, ho deciso di brevettarne il processo di preparazione”, continua Perbellini su Facebook. Così lo chef si è rivolto a una società specializzata, la Bugnion, per tutelare la sua cotoletta, la sua tecnica di preparazione, l’aspetto, la parte estetica e l’impiattamento. Un fatto non comune ma nemmeno eccezionale. Basti pensare a quello che è successo sempre a Verona, zona di origine dello chef, oltre 100 anni fa. È infatti qui che, nel 1894, Domenico Melegatti chiedeva e otteneva un attestato di privativa industriale per aver inventato la forma, il nome e la ricetta di un dolce dorato, il pandoro. Allora l’esclusiva aveva un limite di solo tre anni, mentre oggi i brevetti durano 20 anni. E in questo lungo periodo potremo assaggiare più e più volte la cotoletta di Perbellini. Dove? Da aprile 2020 sarà disponibile come fuori menu nei bistrot dello chef: la Locanda Perbellini a Milano, dove è nata l’ispirazione, e alla Locanda Quattro Cuochi a Verona. Insieme al piatto sarà presentato un libretto con il racconto dei segreti e della storia di questa originale preparazione.
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