I giovani chef e la tradizione: Simone Cipriani di Essenziale
Siamo stati a Firenze al ristorante Essenziale di Simone Cipriani: in occasione del pasto abbiamo fatto due chiacchiere con il giovane chef.
Nel XIX secolo, dalla Spagna, arrivarono in America quelli che sarebbero poi diventati un’icona cinematografica dell’occidente: i cowboy; charro, per rimanere nel nuovo mondo messicano. Figure tipiche, ma assolutamente non esclusive, dall’umanità semplice, concreta e a volte rude, resistenti alle fatiche e dotati di coraggio e spirito d’iniziativa. Simone Cipriani, il giovane chef di Essenziale a Firenze, è nato a Livorno ma oggi è di sicuro un charro della cucina e la libertà che si respira nei suoi spazi e tra le figure professionali della sua squadra di lavoro, il giovane chef di essenziale ha sguardo brillante e mente lucida, coraggio e spirito d'iniziativa riporta la mente al fascino di quel mito. Quasi due metri di uomo, spalle larghe e braccia forti, occhi azzurri e grande sorriso, sguardo brillante e mente tanto lucida; alla fine Simone è figo. Un vulcano, ben piantato a terra, dalla camera magmatica sempre attiva. Ci troviamo lungo l’Arno e precisamente in piazza di Cestello: se si attraversa Ponte Vecchio lasciando alle spalle gli Uffizi e si va verso destra, dopo qualche minuto di cammino, si trova questo largo che affaccia sul fiume con due ristoranti e una Basilica. Sotto un’insegna a bande bianche, con scritta Essenziale a luce calda, si trova il Far West di Simone Cipriani. Un concept restaurant, un ambiente in cui si è accolti e serviti con quello stile pulito e familiare che, prima di conquistarti, ti affascina. St Regis di Roma, Santo Graal di Firenze, grandi esperienze e una presa di coscienza importante.
Uno come Simone Cipriani dove l’ha presa la passione di cucinare?
“La mia passione non è proprio (solo) cucinare, io adesso sono qui a parlare con te, ma lì dentro – indicando la cucina – c’è gente che cucina davvero! A me piace pensare. Imparare e costruire, sulla base di quello che apprendo e faccio mio, progetti sempre nuovi e innovativi nell’ambito della ristorazione“.
Il mondo della cucina è cambiato, la città è cambiata: quanto è difficile una piazza come Firenze?
“Quello che facevo prima era strano, oggi è diventato ganzo! C’è stata un’evoluzione urbana, ma è anche vero che Firenze è una città vissuta da persone di tutto il mondo. Il fiorentino apprezza il cibo, ma fondamentalmente è diviso in due categorie: c’è chi vuol fare bella figura e quindi cerca il locale figo, poi c’è chi in vece è interessato al cibo e magari cerca noi. Inizialmente abbiamo rischiato di diventare un locale modaiolo, poi fortunatamente si è stabilizzata una clientela consapevole della nostra filosofia“.
Ti senti fortunato di essere qui, nella tua terra d’origine?
“È un caso che io sia rimasto a Firenze, sicuramente ho l’appartenenza alla cucina toscana perché è quella di mia nonna, ma non mi sento a casa qui, anzi, Essenziale è un progetto che ha nelle basi tutto quello da cui provengo, ma nella prospettiva l’assoluta volontà di andare il più lontano possibile”.
Quanto ha contato o influito la tua famiglia sule tue scelte?
“Io sono quasi figlio di nessuno, sono andato via di casa a 16 anni, non ho grandi rapporti con mia madre e ho conosciuto mio padre molto tardi. Lui è un ristoratore e chissà che io abbia voluto fare questo lavoro per ricongiungermi a una figura che non c’era. Oggi abbiamo un discreto rapporto, voglio bene a entrambi, ma la cucina mi ha insegnato a vivere, la disciplina e i ruoli delle regole in cucina mi hanno insegnato a stare al mondo. Gli chef per me sono stati esempio di vita”.
Cosa fa Simone Cipriani quando non è dentro Essenziale?
“Quando fai questo lavoro in teoria non puoi avere amici, non puoi avere una fidanzata, non esiste compleanno, domenica o Natale. Questo lavoro t’inchioda qui, ma se ne sei consapevole e riesci ad accettare il compromesso con le persone che vogliono starti vicino, allora riconquisti tutto e lo vivi in maniera diversa. Sicuramente più tua anche. Altre cose fuori non riesco a farle, mi piace il wind surf quando riesco ad andare in ferie una settimana l’anno, viaggiare, ma non ne ho il tempo. Voglio investire in progetti legati alla ristorazione, voglio affermare le mie idee ed evolvermi, cambiare. Se tra 5 o 6 anni mi ritrovate qui, qualcosa è andato storto… credo che chiunque di noi se continua a vedersi dopo anni nello stesso posto, a fare la stessa cosa, debba rivedere qualcosa. Almeno per come sono fatto io, poi sicuramente c’è chi vive benissimo in quel modo. Io tra qualche anno non mi vedo qui, anche se adesso sono contentissimo di esserci”.
Cosa c’è di profondamente tuo nella tua cucina e nel tuo progetto?
“La cucina è una terapia, per molti. Sai, gli chef a volte sono personalità un po’ pazze, fatte di tanto ego e tanta creatività, ma si cucina sempre per qualcuno e per un’approvazione continua da parte di chi ci circonda. Al Santo Graal mi rappresentava la cucina che facevo, qui mi rappresenta il progetto e questo progetto è fatto di regole. Essenziale è uno stile che comprende anche la cucina, con alla base la tradizione e in più quel qualcosa che rompe gli schemi e la esalta”.
Ci racconti un aneddoto che ti riporti alle cose che più ti hanno formato?
“Sicuramente, tra i tanti, se vuoi ti racconto di Daniele Sera, un pazzo scatenato: una volta in cucina mi ha fatto piastrare 4 volte uno scampo, che non sembra, ma credimi per chi ci passa è frustrante!”
Cosa cambieresti nel mondo attuale della ristorazione?
“Dovremmo cercare di ridimensionare non la bellezza del cibo, ma la mediaticità spinta che gli stiamo attribuendo. Ben vengano trasmissioni e format legati al food in grado di restituirgli l’importanza attraverso le tradizioni e la tipicità del nostro territorio, arricchendolo con le contaminazioni, ma senza questa spettacolarizzazione che poi diventa controproducente: a volte vedo gente che perde 3 ore per fotografare un piatto, una foto ci sta, ma poi mangialo che si fredda!”
Come vedi tu la figura del cuoco e il suo ruolo in cucina?
“L’attenzione verso il cuoco è aumentata, prima eravamo figure introverse in cucina che saltavano roba, oggi siamo all’opposto. Mia madre non voleva che facessi il cuoco, prima era il cameriere ad essere figo, stava in sala, parlava con la gente, prendeva mance mentre chi cucinava puzzava di fritto, mentre adesso si è un po’ estremizzata, forse, la figura di star della cucina. Questo credo abbia portato anche chi viene a mangiare a godere meno del cibo, che deve dare gusto, deve essere mangiato e non analizzato. Quello che dico è: mangia, cavolo! assaggia, annusa e godi di quello che mangi, trovaci piacere e poi, semmai, stiamo qui a parlarne anche insieme. Invece succede quasi sempre il contrario”. Essenziale, d’altronde, nasce per questo: per fare da mangiare per bene e dare da mangiare con semplicità. Simone sorride, sempre, è un ragazzo molto centrato.
Quali sono le difficoltà più grosse di questo tipo di ristorazione?
“Finché ero in cucina non vedevo niente, oggi che giro in sala vedo tutto e ti accorgi già dell’umore delle persone, da come entrano. Se sono tristi è più facile che avranno una cena triste di cui magari poi, alla fine, si lamenteranno anche, ma sarebbe ganzo la gente capisse che non è tutto uno show. Qui c’è gente che suda dalle otto di stamattina e per carità, nessuno si lamenta, ma ci vorrebbe più rispetto per tutto il duro lavoro che c’è dietro questo mondo”.
Passare per Firenze e non fermarsi qui, ad assaggiare una pasta e fagioli coi Brigidini (per esempio), è davvero un peccato. Menu alla carta, degustazioni molto flessibili, menu sociale e il buio. Tante opportunità per assaggiare la cucina di Simone che infine, tradito dai discorsi, ci rivela il sogno di far diventare Essenziale un teatro; cosa intenda nello specifico non lo sappiamo, ma lo spettacolo non mancherà di certo. Simone Cipriani è una figura tipica, ma assolutamente non esclusiva, dall’umanità semplice, concreta e a volte rude, resistente alle fatiche e dotato di coraggio e spirito d’iniziativa.