Grano italiano e grano estero: locale è meglio?
Quali sono le differenze fra il grano italiano e quello estero? Il grano italiano è davvero migliore del secondo? Cerchiamo di rispondere a questa diatriba eterna che infiamma sempre gli animi dei “nazionalisti” a tutti i costi
Per cercare di capirci qualcosa nell’eterna diatriba fra il grano italiano e il grano estero (quale dei due è il migliore? Ci sono differenze?), dobbiamo partire dal fatto che, quando si pensa alla farina, viene naturale indentificarla come qualcosa di prettamente italiano. Questo accade riferendosi a ciò che si vede nei banchi dei supermercati: siamo il principale produttore di pasta nel mondo, quindi ci sembra ovvio che anche le farine vengano prodotte totalmente con grani italiani. Ma è proprio così?
Perché importiamo il grano duro? Perché non abbiamo spazio per produrne abbastanza
La realtà è diversa e anche se gli amanti del km 0 a tutti i costi storceranno il naso, è giusto spiegare perché l’Italia non riesca e non possa produrre farina esclusivamente con l’utilizzo di materie prime nostrane. Innanzitutto la richiesta di grano italiano è eccessiva: prendendo in considerazione il grano duro, tipologia di frumento che in Italia è coltivata soprattutto nel Centro-Sud e dalla quale si ottiene la pasta, è bene sapere che il nostro Paese, uno dei principali produttori mondiali, ne importa il 40% dall’estero.
Questo accade perché l’Italia produce, consuma ed esporta così tanta pasta che sarebbe utopistico pensare a una produzione di grano al 100 % nazionale in supporto a una tale mole di prodotti derivati e distribuiti ovunque. Come a dire: non abbiamo sufficiente superficie coltivabile per produrre tutto il grano duro di cui abbiamo bisogno per il consumo interno e per le esportazioni.
Consideriamo anche un altro fattore: pare che la coltivazione del grano duro sia nata in Turchia (deriva probabilmente dall’Aegilops speltoides, un farro selvatico presente in Turchia), Siria, Iran e Iraq. Noi poi l’abbiamo importata e contribuito a crere il grano duro moderno che adesso consideriamo italiano, ma che, di fatto, è nato all’estero. Insomma, un po’ come successo con i pomodori: adesso ci vantiamo della bontà di questo “prodotto italiano”, ma tecnicamente parlando, se non fosse stato per Cristoforo Colombo, non avremmo mai conosciuo questo prodotto.
E per quanto riguarda il grano tenero? Idem come sopra
Nel campo del grano tenero, tipologia di frumento coltivato prevalentemente nel Centro-Nord Italia e dal quale derivano le nostre amate farine per pane, pizza e pasta fresca, l’Italia importa grano fino a un 50 % del totale (prevalentemente dalla Francia e dall’Est Europeo con Kazakistan e Ucraina in testa).
Togliendo dal conteggio i campi destinati ai molini artigianali locali, è naturale pensare come il grano estero sia presente nella nostra alimentazione quotidiana. Non è qualcosa da vedere come un male: se possiamo beneficiare di farine per realizzare un’ampia gamma di prodotti, lo dobbiamo alla presenza di grani esteri moliti e miscelati nelle farine.
Quindi meglio il grano italiano o quello estero?
I grani importati possono migliorare in diversi casi le farine che troviamo in commercio, laddove i grani italiani non possano garantirne uguali caratteristiche. Un esempio è dato dai grani di forza, tipologie di frumento che una volta molite producono farine che svilupperanno parecchio glutine.
Basti pensare alla farina Manitoba, un prodotto il cui nome è dato ad alcuni grani e, successivamente, a un gruppo di farine di forza provenienti originariamente dal Canada: la provincia omonima produce grani teneri da sempre utilizzati nei mulini per rinforzare farine più deboli. Siamo abituati a chiamare erroneamente Manitoba qualsiasi farina di forza anche non prodotta in Canada, ma non esistono solo grani canadesi per ottenere farine forti.
In Italia sono coltivati grani simili al Manitoba che sviluppano altrettanto glutine, ma il fabbisogno è talmente alto da non riuscire a soddisfare la produzione. Il Canada quindi ci aiuta a ottenere farine di forza insieme ad altri paesi che supportano la nostra richiesta.
Tuttavia può avvenire anche il contrario: grani di maggior qualità italiani possono essere mescolati a grani esteri di qualità più bassa per ottenere prodotti di qualità mediocre.
Il punto fondamentale è quello di capire quando una farina di qualità si riveli tale e questo dipende da come è stata progettata, sviluppata e testata nei vari mulini. Questo si evidenzia soprattutto nella scelta dei migliori grani, siano essi nazionali o esteri. Poco importa se il grano utilizzato non è al 100% italiano: un grano straniero di altissima qualità riuscirà a garantire lo standard qualitativo richiesto.
Come si capisce se un grano è di qualità?
Solitamente per valutare la qualità di un grano si valutano:
- quantità di proteine (dipendono non solo dalla genetica della varietà, ma anche dai livelli di umidità, sole e tipo di concimazione)
- qualità del glutine (dipende dalla varietà del grano, con i frumenti duri moderni che hanno più glutine e quelli antichi che sono più deboli)
Importante, poi, anche valutare il metodo di conservazione e la tipologia di coltivazione, con particolare riferimento all’uso di fertilizzanti, pesticidi e prodotti fitosanitari.
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