Quando un vino è davvero kosher?
Che differenza c’è tra un vino classico e un vino kosher? Vi spieghiamo in breve quali regole si seguono nella produzione dei vini kasher o kosher.
La parola kasher o kosher significa adatto, opportuno e conforme, volendo indicare così gli alimenti che rispondono ai dettami della religione ebraica. Il suo contrario è tare, ciò di cui non è permesso cibarsi. solo se sono rispettate le regole della kasherut un vino può dirsi kasher ed essere consumato dagli osservanti Il complesso di norme religiose che regola la vita alimentare e di cucina della comunità ebraica si indica con il termine kasherut, di derivazione sostanzialmente dalla Torah e dall’interpretazione che i rabbini ne hanno dato, nel corso dei secoli. Secondo la religione ebraica l’uomo fu creato vegetariano, seppur sovrano sugli altri animali. Quindi all’origine le norme alimentari riguardavano essenzialmente gli animali macellati secondo le prescrizioni e consumati in maniera conforme ai dettami. L’introduzione della carne nella vita alimentare delle Sacre Scritture avviene dopo il diluvio universale, con Noè: da questo episodio compare anche il vino nella vita alimentare religiosa, giacché lo stesso patriarca piantò una vite come ringraziamento per essere scampato alle furie delle acque. Di questa vite riportata nella Genesi non se ne conosce il vino che ne fu prodotto, ma è certo che anche nella religione ebraica il succo di uva fermentato assume valenza e importanza, specialmente nelle giornate di festa, a tributo e glorificazione. Solo se sono rispettate le regole della kasherut un vino può dirsi kasher ed essere consumato dagli osservanti, sia per quanto riguarda la coltivazione della vite, sia per tutte le lavorazioni successive.
Le regole del vino kosher
- È fatto divieto di coltivare tra i filari della vigna piante da frutto o da orto, nel rispetto della pratica di Kilai Hakarem; in Italia e Spagna inerbimento, sovescio e colture promiscue sono invece tollerate.
- Dal momento di impianto, prima di raccogliere i grappoli devono passare 3 anni durante i quali i frutti sono raccolti prima della fioritura secondo la regola di Orlah; dal quarto anno di vita della pianta si inizia a vendemmiare.
- Deve essere rispettato l’anno sabbatico, uno ogni 7, durante il quale la vite va lasciata a riposo e i grappoli si lascia che appassiscano sulla pianta per favorire il vigoria e il recupero: questa usanza si chiama Shmitah.
- Tutte le lavorazioni devono essere eseguite da ebrei praticanti: chi non rispetta le regole della religione ebraica e non è osservante dei precetti, non rispetta il Sabbat, indossa la kipa o la yamulka, tradizionale pettinatura religiosa, non deve entrare in contatto con i grappoli, né con il mosto o il vino. È escluso qualsiasi contatto anche con le attrezzature di cantina, gli strumenti di pigiatura e confezionamento, così come con i tini di vinificazione.
- Sia in vigna, sia in cantina è vietato lavorare durante il Sabbat, giorno di festa religiosa, a partire dal tramonto di venerdì al tramonto del sabato.
- Vigna e cantina sono sottoposte a controlli e verifiche da parte del rabbino - o di un suo incaricato - al fine di verificare l’applicazione di tutte le regole: i controlli sono frequenti e senza preavviso, la certificazione ha scadenza e può essere invalidata in ogni momento si riscontrino comportamenti non adeguati.
- I prodotti utilizzati per la vinificazione hanno l’obbligo di essere kasher, quindi è vietato l’uso di gelatina alimentare non kasher e l’acido tartarico deve essere stato interrato 2 anni prima del suo utilizzo. È consentito l’impiego di albume d’uovo per la chiarificazione, purché non contenga traccia alcuna di sangue o di bentonite, argilla minerale; i lieviti devono riportare la certificazione kasher, così come anche il mosto concentrato per aumentare, laddove necessario, il contenuto zuccherino.
- In cantina nessun gentile, ossia non ebreo, può entrare in contatto con il vino o i grappoli. Le stesse attrezzature devono essere state lavate prima di ogni utilizzo da mani kasher con acqua bollente e tutte le parti in gomma sostituite ogni anno, in modo che siano sempre nuove.
- Al termine dalla lavorazione e della svinatura si deve rispettare la cerimonia di Trumat Maser la cui tradizione richiede che sia gettata via una parte, pari a 1% della produzione in ricordo della decima versata ai guardiani del Tempio di Gerusalemme.
- Ogni bottiglia deve essere etichettata con il simbolo che riporti il rispetto delle regole della Kasherut, in modo che possa essere identificato come prodotto consentito, e il nome del rabbino che abbia svolto i controlli.
Tre tipi di vino kosher
Alla fine del processo produttivo le bottiglie, tappate ed etichettate, sono classificate su tre livelli: solamente Kasher, Kasher per Pessah e vini Yain mevushal. I primi solamente kosher sono quelli destinati al consumo giornaliero, i vini si dividono in kasher, kasher per pessah e yain mevushal eccetto durante il Sabbat, mentre il vino per Pessah, bevuto in occasione della festività pasquale, non deve in nessun modo contenere tracce di lievito o frumento. Chi lavora alla produzione di questa tipologia di vino non può consumare pane o pasta all’interno dei luoghi di produzione o in vigna e deve assicurassi di non avere briciole residue sulle mani prima di iniziare il lavoro. Questa attenzione è in coerenza con il divieto di consumare lievito durante la festività, in memoria della fuga dall’Egitto, quando gli ebrei ammoniti da Mosè non ebbero tempo di far lievitare il pane e cucinarono velocemente le azzime, il rituale pane azzimo non lievitato. I vini Yain mevushal hanno la caratteristica di mantenere l’idoneità di consumo per gli osservanti anche se serviti da una persona non religiosa: sono vini pastorizzati a 89 °C (generalmente è pastorizzato il mosto) e immediatamente raffreddati a 4 °C, per mantenerne le caratteristiche organolettiche. Nel caso in cui il vino invece sia servito da personale ebreo, esso non richiede la pastorizzazione.
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