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Idylio by Apreda sorprende al centro di Roma

di Lorenza Fumelli • Pubblicato 28 Aprile 2022 Aggiornato 23:25

Siamo tornati a provare il ristorante una stella michelin Idylio by Apreda, in centro a Roma: ecco come è andata.

Concedetemi una riflessione. Non mi ero accorta di quanto, tornando a degustare nei ristoranti dopo la pandemia, ci fosse stato in me un grosso cambiamento. Come se tutto quello che ho sempre amato dell’alta cucina si fosse trasformato in un cliché un po’ stanco. Un tempo, tanto per fare un esempio, amavo scorgere il pensiero del cuoco dietro alle sue proposte, distinguere il talento dalla voglia di stupire ad ogni costo, comprendere il percorso creativo in un piatto in particolare. Un po’ come se ad intrigarmi fosse osservare il burattinaio dietro le quinte piuttosto che godermi lo spettacolo delle marionette. Ecco, questo è cambiato.

È calato il sipario sugli chef rockstar ed è rimasta la loro arte, la capacità di mettere nel piatto degli ingredienti e farli volare insieme. È il tempo della concretezza, del giusto rapporto qualità/prezzo, dell’impresa che funziona e del cliente al centro del discorso. Perché alla fine è lui che mantiene la baracca. Con questa premessa, vi dico che ho mangiato ad Idylio by Apreda, ristorante dell’hotel The Pantheon Iconic Rome e che è stata una delle esperienze più rilevanti di questo giovane 2022.

Partiamo dalla sala. L’ho sentita raccontare in molti modi diversi e mancando personalmente di strumenti adeguati per definire uno spazio e il suo arredamento, dirò che la sensazione corrisponde alla premessa fatta in questo articolo. Il cliente occupa tutto l’ambiente, è al centro, scaldato dall’oro rosa – colore dominante – e ribaltato in un contesto che esula dallo spazio e dal tempo. Sembra di stare in un’altra epoca e anche in un’altra città, nonostante ci troviamo al centro di Roma, a due passi dal Pantheon. Questo, senza dubbio, aiuta l’illusione. L’aiuta anche il piccolo oblò rettangolare che offre una vista sulla cucina dal fondo di una delle sale, che però diventa a vista solo ogni tanto. Lo staff è molto presente, sollecito, elegante. Sorridente.

I menu sono diversi: c’è la degustazione dei piatti iconici dello chef (Iconic Signature a 120€), un menu crossover delle varie offerte dal titolo Butterfly a 100€ per 5 portate e un menu chiamato Sapidità Essenziali (140€), quello che ho assaggiato in questa occasione. Anche qui va fatta una premessa.

Francesco Apreda, per i pochi che ancora non lo conoscono, è un cuoco di origine campana che da molti anni ha sede a Roma. Prima come executive dell’Imago all’hotel Hassler (una stella Michelin) poi qui ad Idylio (stellato, cappellato, premiato in molte occasioni). Prima di approdare nella Capitale, Francesco ha lavorato all’estero, da Londra a Tokyo, imparando molto dalle cucine asiatiche e rimanendovi profondamente affascinato. I primi anni il suo stile era fortemente caratterizzato dall’utilizzo insolito e molto presente delle spezie. Divenne conosciuto a livello nazionale proprio per – l’incredibilmente poco italiana – capacità di gestire questi insoliti sapori, fino a creare dei blend che tutt’ora utilizza nella sua cucina. Le spezie erano la sua cifra stilistica principale e il menu Sapidità dimostra che lo sono ancora, con un cambiamento però sorprendente.

Nei piatti assaggiati in passato scorgevi la sua esigenza di sperimentare attraverso tecniche e sapori lontani per innestarli all’interno di piatti che non rinunciavano ad essere italiani, con gusto mediterraneo. Oggi la sua ricerca si è spinta oltre e le spezie anziché dominare si integrano perfettamente con la creazione, sostituiscono il sale – in questo caso – donando tridimensionalità inaspettata e rimanendo però fortemente a servizio del gusto. Un gusto più lucido, a fuoco, un gesto anche più tecnico se vogliamo ma più pulito. A tratti perfetto.

Idylio by Apreda è un ottimo esempio di quello che secondo me dovrebbe essere oggi un ristorante di ricerca. Certo che si deve sentire la personalità dello chef, anzi, ci deve essere ogni aspetto della sua formazione, ogni sfumatura dei suoi gesti e ogni approfondimento fatto nella sua carriera. Ma ci deve essere soprattutto il piatto e l’esperienza del cliente in quella singola cena. Ci deve essere stupore, mai cercato con il fine ultimo di impressionare. Ci deve essere bellezza non senza però un’attenta analisi dei costi, del rapporto qualità prezzo, degli sprechi e dell’etica in generale. Ci deve essere un pensiero che però non faccia annegare l’esperienza in un mare di onanismo che ultimamente ha dominato molte tavole, soprattutto quelle dei nostri cuochi giovani. In quest’ottica, Apreda è senza dubbio un cuoco con una storia ben radicata nel passato ma perfetto rappresentante di quel che vorrei fosse il nostro futuro come alta cucina italiana.