IGP, IGT, DOC, DOP: cosa significano?
Le sigle dei prodotti di qualità sono messe in mostra per promuovere i prodotti: ma cosa significano realmente? Ecco una breve guida per scoprirlo.
Tre o quattro lettere alla fine del nome, un simbolo colorato sull’etichetta o la garanzia di un bottegaio di fiducia: le sigle dei prodotti di qualità sono sempre messe bene in mostra e spesso utilizzate per promuovere i prodotti stessi. Ma le sigle sembrano anche in grado di moltiplicarsi da sole: a più di 50 anni dalla loro ideazione, rischiano di diventare un enigma, più che un’indicazione. Gli acronimi sono infatti semplici da gestire e corti da riportare, ma spesso difficili da interpretare: se vi chiedete cosa c’entrino i vini DOCG con i DOC e con i DOP, se vi domandate quale parentela leghi IGP e IGT, se credete che PAT sia il rumore di una pacca sulle spalle, avete bisogno di una piccola guida ai marchi di qualità europei e italiani.
- DOP, Denominazione di Origine Protetta. È la sigla più conosciuta e utilizzata, ufficialmente riconosciuta e condivisa a livello europeo. Conta più di 400 vini e 160 prodotti italiani registrati, fra cui particolarità come l’aceto balsamico tradizionale di Modena o il puzzone di Moena. Contraddistingue gli alimenti e i vini le cui caratteristiche gustative possono essere attribuite all’appartenenza a un determinato ambiente geografico: per questo, la sigla è assegnata solo a specialità alimentari prodotte e lavorate in aree precise e secondo un determinato disciplinare di produzione.
- DOC, Denominazione di Origine Controllata, è invece la sigla storica, istituita sin dagli anni Sessanta e conosciuta da tutti in Italia. È stata storicamente utilizzata come marchio per i vini di qualità prodotti in aree geografiche di dimensioni piccole o medie, con caratteristiche attribuibili al vitigno, all’ambiente e ai metodi di produzione: i primi prodotti sono stati riconosciuti nel 1966. Dal 2010 in realtà non è più in uso: per la legge europea la denominazione è ora compresa nella sigla DOP – ma l’utilizzo è ancora consentito come menzione specifica tradizionale.
- DOCG, Denominazione di Origine Controllata e Garantita. Al pari della sigla DOC, questo marchio fa ora parte della grande famiglia DOP: è in ogni caso attribuito ai vini già riconosciuti come DOC e ritenuti di particolare pregio da almeno 10 anni. Qualche esempio? L’Aglianico del Vulture Superiore, il Barbaresco, il Brunello di Montalcino.
- IGP, Indicazione di Origine Protetta, è la seconda tipologia di sigla condivisa a livello europeo. A dispetto del nome, indica alimenti e vini tipici di una determinata area geografica e che lì sono prodotti e/o trasformati e/o elaborati: questo vuol dire che un determinato prodotto, pur lavorato nella zona indicata secondo metodologie specifiche, può provenire da una diversa regione o persino dall’estero. I prodotti alimentari IGP in Italia sono al momento 116; a questi vanno aggiunti 118 vini, che possono in alternativa usare la sigla IGT.
- IGT, Indicazione Geografica Tipica, era infatti la terza sigla in uso per i prodotti enologici fino al 2010: oggi è stata ricompresa nel marchio IGP. Per ottenere il riconoscimento, i vini devono essere prodotti con almeno l’85% di uve provenienti dall’area geografica indicata.
- STG, Specialità Tradizionale Garantita. È la sigla europea che meno ha a che vedere con l’origine dei prodotti. È infatti utilizzata esclusivamente per alimenti con caratteristiche di tradizione e di qualità tali da distinguersi da altri prodotti simili: gli unici due casi italiani sono la mozzarella e la pizza napoletana – che possono però essere prodotte con uguali caratteristiche e utilizzando quindi il marchio anche in Paesi molto lontani dal Mediterraneo.
- PAT, Prodotto Agroalimentare Tradizionale, è invece il marchio utilizzato solo in Italia per contraddistinguere prodotti tradizionali e di nicchia, con una diffusione così ridotta da non concorrere all’assegnazione di DOP e IGP. È l’unica sigla di qualità che è attribuita dalla Regioni: l’obiettivo è di valorizzare le specialità locali ottenute con metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura tradizionali, in uso da almeno venticinque anni e omogenei in tutto il territorio interessato. Alcuni esempi sono il sanguinaccio e il miele lucano, il prosciutto di pecora sardo, lo speck altoatesino.
- BIO è infine la parola utilizzata in Italia per identificare bevande e alimenti prodotti con metodi biologici, quindi senza l’utilizzo di sostanze di sintesi chimica. Il riconoscimento europeo è dato da un particolare marchio, composto dalla sagoma di una foglia con dodici stelle bianche su fondo verde chiaro. Il logo e la denominazione biologico (o la sua abbreviazione BIO) possono essere riportati solo sulle confezioni di prodotti che utilizzino almeno il 95% di ingredienti agricoli coltivati con metodi biologici e conformi al sistema di controllo e certificazione nazionale. Dal 2012 il marchio BIO può essere usato anche per il vino, che fino ad allora aveva dovuto accontentarsi della dicitura “ottenuto da uve biologiche”.
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