Indigeno a Montepulciano: attenzione al territorio e alla sostenibilità
La nuova avventura di Salcheto è il ristorante Indigeno – cucina terrestre, aperto ad aprile con la consulenza di Paolo Parisi.
Per accomodarsi ad uno dei tre tavoli sociali di Indigeno, realizzati con il tronco di una quercia del monte Amiata, bisogna lasciare la provinciale che da Chianciano conduce a Montepulciano e scendere di quota percorrendo una strada secondaria che si snoda tra boschi, radure e vigne. C’è del bello già ad arrivare, al Salcheto, dal nome dialettale del salice salco con i cui rami si legano, fin dai tempi antichi, le viti. All’interno di Salcheto, azienda vinicola nata nel 1984 a pochi chilometri da Montepulciano, ci sono sei camere curatissime (che diventeranno presto undici), oltre naturalmente una cantina bellissima in cui tecnologia e tradizione vanno a braccetto. Assolutamente da visitare per apprezzare tutti gli accorgimenti tecnici e naturali adottati per renderla una delle più ecosostenibili d’Europa. E poi c’è l’ultimo nato, il ristorante Indigeno – Cucina terrestre, che ha aperto la sua cucina nel mese di aprile con la consulenza di Paolo Parisi, grande personaggio della gastronomia italiana (chi non conosce le sue uova?), chiamato dal patron dell’azienda Michele Manelli a ideare un menu che rispetti le linee guida dell’azienda: territorio, innovazione, gusto, sostenibilità, materie prime.
Il territorio arriva in tavola con la cacciagione, gli animali da cortile allevati in azienda e il pesce di lago (il Trasimeno è a pochi chilometri e la Val di Chiana, fino al 1600 circa, era una vasta area paludosa). La sostenibilità viene dalla coltivazione di due grandi orti aziendali, dalla raccolta quotidiana di erbe e piante spontanee e dal riciclo di scarti alimentari come le bucce di vegetali o i ritagli di carne e pesce che vengono proposti nel gran fritto da leccarsi i baffi. Ma si sa che “fritta è buona anche la suola delle scarpe” come ricorda il patron Michele.
Nella sala con vista sulla cucina aperta, oltre che su Montepulciano e la Val di Chiana, una cinquantina di coperti divisi nei tre enormi tavoli in condivisione. Perfetto per la condivisione è anche l’arrivo del pane, preparato giornalmente in azienda, a tavola: una pagnotta da un chilo accompagnata da un coltello per affettarlo e delle salse da scarpetta, nel nostro caso una crema di piselli con pecorino, un sughetto di pomodoro e guanciale, una salsa di yogurt ed erbe.
Il menu, visibile anche sulle grandi lavagne appese al muro della cucina a vista, è organizzato in aree in cui ciascun ospite è libero di spaziare: i cicchetti, fondamentalmente assaggi e piccoli antipasti, i piatti di portata, che comprendono primi, secondi e insalate, e i dolci e formaggi. Tra i piatti che ho assaggiato ecco quelli che mi hanno convinto di più: il Crostino di paté d’oca e salvia fritta, un classico toscano fresco e cremoso, non troppo fegatoso, in poche parole perfetto per fare il bis. La Frittatina di chiare d’uovo e erbe spontanee, molto saporita e leggera. Poi, il Basta che sia fritto con bucce di carote, di patate, salvia, ortiche e fiori di zucca, strisce di coniglio e pollo. Una zuppiera finita in un battibaleno. Le Pappardelle alla Nerano nostrana, omaggio al celebre piatto della costiera Amalfitana, con zucchine fritte e pecorino, sicuramente molto golose. La Carpa regina di fiori, un bel filetto marinato, cotto al forno e poi tappato con una delicata salsa di panna acida e fiori. Una sorpresa: mi aspettavo un pesce molto più grasso e dal gusto monocorde. Ancora, la Zuppetta di pesci di lago, presentata non troppo originalmente in barattolo ma gustosa e ben realizzata. La scottiglia, una sorta di spezzatino di carni bianche al pomodoro, un piatto della tradizione ottimamente recuperato. E infine, il Semifreddo al miele e sambuco, un fresco e delicato modo di chiudere (in alternativa si può optare per una selezione di formaggi).
La carta dei vini è incentrata sulle produzioni aziendali, integrata con una ventina di etichette di produttori amici di tutta Italia e il conto, considerando una costruzione classica del menu a base di antipasto, primo, secondo e dolce, si aggira sui 45/50 euro. Ma il menù si può modulare secondo canoni più alternativi spendendo anche qualcosa in meno.