La cucina d’Abruzzo: il territorio, le parole di uno chef e 20 ricette tipiche
Un viaggio nei territori della regione forte e gentile attraverso 20 ricette e la testimonianza di Franco Franciosi, chef e portavoce dell’Abruzzo.
Tante regioni in Italia vantano una cultura gastronomica (e non solo) forte e colma. Anzi, tutte le regioni. Anzi, ancor meglio, ogni singola località, ogni singolo paesino vantano un patrimonio a sé. L’Abruzzo, però, a differenza di altre ha una diversificazione accentuata: dalle vette montuose dell’Appenino centrale, passando per i rilievi collinari, fino alle coste del mar adriatico la cucina cambia con il mutare del territorio.
Il territorio abruzzese influenza la cucina
La regione forte e gentile può essere suddivisa in tre aree geografiche da ovest a est. La zona montuosa dell’appennino centrale occupa il 65% del territorio abruzzese e si trovano le vette più alte della catena, il Gran Sasso su tutti. In queste zone la pastorizia di transumanza ricopriva un ruolo centrale per l’economia e permetteva lo scambio culturale, quindi anche culinario, con le regioni limitrofe. Negli anni si è fortemente ridimensionata così come le altre attività del settore primario, ma i formaggi e le ricette a base di pecora sono diffusissimi. Importante anche la presenza della selvaggina: camoscio d’Abruzzo su tutti, ma anche cervi e cinghiali. Molto presente negli altopiani la coltivazione della patata, la più celebre quella del Fucino.
Andando verso est i rilievi diventano più dolci e nella vallata si sviluppano le città più importanti della regione, occupando il 34% del territorio. A primeggiare sono le coltivazioni, in particolare quella del frumento; non a caso tra i prodotti tipici spiccano in quantità le paste, i pani salati e non e i dolci. Da segnalare la presenza dello zafferano specialmente nella provincia dell’Aquila dove raggiunge i vertici qualitativi; inspiegabilmente, però, questo prodotto pregiatissimo viene usato in rarissime preparazioni. Importante anche l’allevamento suino dal quale si ricavano insaccati tipici, come la ventricina e la mortadella di Campotosto.
Infine, si arriva al mare e nei territori pianeggianti della regione che ricoprono il restante 1% del territorio. La pesca e i prodotti ittici sono centrali non solo nelle ricette tradizionali abruzzesi, ma anche nell’economia delle città portuali: Pescara, Giulianova e Ortona. Di grande fascino i trabocchi: antiche macchine da pesca in legno che si trovano sulle sponde della costa a cui danno il nome. Oggi sono un richiamo per il turista enogastronomico visto che al loro interno sorgono ristoranti tipici.
Parola allo chef
In supporto a quanto detto, abbiamo deciso di coinvolgere qualcuno che l’Abruzzo forte e gentile lo vive e lo trasmette attraverso i suoi piatti. Si tratta di Franco Franciosi, chef dell’Osteria Mammaròssa ad Avezzano. Nel suo locale, insieme al suo secondo Francesco D’Alessandro, porta avanti il progetto Quote, ossia lo studio e il racconto dell’Abruzzo declinato nelle sue differenti altitudini e paesaggi: “L’Abruzzo è un saliscendi continuo di scenari culturali, storici e naturali ed è alla base della nostra filosofia. Vivendolo a pieno da anni mi accorgo ogni giorno che so di non sapere, scopro sempre qualcosa di nuovo. Parlando con gli antropologi, ad esempio, ho scoperto che il pastore proprietario del suo gregge come noi lo immaginiamo è qualcosa che ha origine solo nel secolo scorso e di conseguenza anche le ricette a base di carne o formaggi“. Secondo Franco esistono 4 biodiversità principali, che poi segnano differenze nette non solo in cucina, ma anche a livello antropologico e sociale:
- Orti di mare. “Per orti intendo tutta la famiglia delle piante, erbe e spezie mediterranee che anticipano i prodotti che il Mar Adriatico ci regala“.
- Collina-altopiano. “L’altopiano rimane una zona ancora fredda e il mare non è visibile, come in quello de L’Aquila o del Fucino. Dalle colline iniziamo a trovare olivi, viti e tutte le coltivazioni da orto“.
- Bosco-fiume. “Tutto ciò di spontaneo che questi luoghi pieni di leggende possono offrire: funghi, tartufi, asparagi selvatici, borragine, cicoria, aglio orsino e naturalmente il pesce di acqua dolce“.
- Montagna-roccia. “Identificata dai formaggi che sono al vertice dell’alimentazione abruzzese e dalle carni dei pascoli: pecore, agnelli e capretti“.
Le ricette e i prodotti tipici abruzzesi
A dimostrazione di quanto detto, ecco una lista di piatti e prodotti tipici. Attenzione, quanto segue non vuole assolutamente essere un ricettario esaustivo. In Italia ogni borgo ha le sue micro tradizioni e riassumere tutte quelle abruzzesi a portata di scroll sarebbe pressoché impossibile. Per maggiori informazioni contattare qualche nonna forte e gentile.
- Arrosticini. Detti anche rustell o arrustell. Si tratta di carne di pecora tagliata in piccoli pezzetti, infilzata con uno spiedo di legno e poi arrostiti sulla brace. Leggenda vuole che furono dei pastori nella zona del Voltigno (versante est del Gran Sasso) a idearli per recuperare le carni delle pecore più anziane. Sono il simbolo della cucina abruzzese e si sono diffusi in tutta Italia, vista la loro bontà e la loro semplice preparazione. Ahimè, come tutte le cose che godono di un successo di questa portata se ne trovano, anche, di provenienza assai discutibile.
- Confetto di Sulmona. Il confetto è un prodotto diffuso in tutto lo Stivale, ma nella città di Sulmona sono dei veri maestri. Le prime produzioni risalgono al XV secolo, a quanto pare grazie al lavoro del monastero di Santa Chiara. Poi nei secoli si è sviluppato sempre più finché non sono nate delle vere e proprie industrie. Ne esistono di diversi gusti, ma il classico rimane quello alle mandorle. Ciò che li contraddistingue solo alla vista sono le composizioni floreali che vengono realizzate.
- Ferratelle. Anche dette pizzelle, nivole, nieole. Dipende in che zona vi trovate. La sostanza però non cambia affatto: si tratta di una pasta da biscotto sottile, cotta su una doppia piastra arroventata, poi condita come meglio credete e servita come dolce.
- Parrozzo. È il dolce del Natale abruzzese. La sua nascita è fatta risalire agli anni ’20, grazie alle mani di un pasticcere pescarese: Luigi D’Amico. Si ispirò al pane casareccio che i contadini portavano nei campi come pasto, ma aggiunse all’impasto uova e mandorle e ricoprì il tutto con cioccolato fondente.
- Sagne e Fasciule. Primo piatto emblema della cucina povera e contadina diffuso in realtà in tutt’Italia. In ogni regione prende un appellativo diverso, ma le ricette variano di poco. In questo caso si tratta di un impasto fresco di acqua e farina tagliato a rombi irregolari e fagioli. La carne era appannaggio dei ricchi e i legumi erano la fonte proteica del popolo; oggi è un piatto che mette tutti d’accordo.
- Scrippelle mbusse. Come tante ricette, le scrippelle mbusse, cioè bagnate con brodo di gallina, sono nate da un errore. Il colpevole fu Enrico Castorani, aiuto cuoco nella mensa degli ufficiali francesi di stanza a Teramo durante i primi anni del 1800. Il buon Castorani rovesciò una vassoio pieno di crêpes nel brodo di gallina. Così sono nate e così sono rimaste negli anni, unica differenza con le crêpes francesi è l’assenza del latte.
- Spaghetti alla chitarra. Formato di pasta per eccellenza dell’Abruzzo. Si tratta di una pasta lunga all’uovo dallo spessore accentuato e dalla consistenza tenace. Queste caratteristiche sono dovute alla chitarra, lo strumento con cui si producono: un telaio di legno rettangolare sul quale vengono poste delle lame di acciaio. La pasta stesa viene posizionata sulle lame e grazie alla pressione del mattarello viene tagliata con una larghezza tra i 2 e i 3 millimetri. Condimento classico della provincia di Teramo le pallottine, ossia piccole polpette di carne al sugo.
- Pizz’onde. Si tratta della versione abruzzese della pizza fritta. Il nome pizz’onde o pizzonte significa proprio pizza unta. Insieme agli arrosticini fanno parte della categoria street food. Possono essere condite a vostra fantasia o assaporate così come olio le ha fritte.
- Virtù teramane. Non esiste una ricetta codificata per questo antico piatto della provincia di Teramo. Si tratta, in realtà, di una preparazione che accomuna un po’ tutte le tradizioni povere e contadine italiane. Qui ha trovato la sua culla e un nome che richiama il detto “di necessità virtù”. Si tratta, infatti, di una pasta brodosa cotta con le verdure e i legumi che si avevano a disposizione all’interno della callara (termine dialettale che sta ad indicare il paiolo). La storia vuole che questo piatto segni il passaggio dai prodotti invernali ai primi prodotti primaverili e che sia consumato il Primo Maggio.
- Pecora alla callara. Piatto della convivialità, del calore e delle feste per eccellenza. Le sue origini sono chiaramente connesse alle tradizioni pastorali delle zone montuose. Prende diverse accezioni in base alla zona, nell’aquilano è detta cottora. Importante è la prolungata cottura a fuoco molto basso della pecora, insieme a vino spezie ed erbe, all’interno della callara. È consigliata una cottura sulla brace, stesso vale per le virtù teramane, per richiamare le antiche preparazioni e per quel sapore di affumicato inconfondibile.
- Capretto alla neretese. Altro secondo tipico della regione che prende il nome dal paese di Nereto, nella provincia di Teramo. Non si tratta di una ricetta dalle antiche tradizioni, ma che ricorda i sapori forti e gentili. Il capretto è insaporito con i chiedi di garofano e rosolato in un fondo di cipolle; poi vengono aggiunti i pelati e la carne continua la cottura in umido. Sul finale vengono aggiunti i peperoni precedentemente fritti. Dietetico.
- Pallotte cacio e ova. Una delle pietanze più famose d’Abruzzo. Sono delle polpette semplici ed economiche preparate con formaggio di pecora, pane raffermo e uova. Fritte e poi condite con un sugo di pomodoro. Una ricetta che, come tante altre, si rifà alle usanze più povere: assenza di carne e zero spreco.
- Agnello cacio e ova. La variante carnivora e ricca delle pallotte. Un piatto che racchiude tanti aspetti di questa regione e che viene consumato durante le festività pasquali, quando anche i ceti più poveri mangiavano carne. Non a caso è preparato con l’agnello e le uova, prodotti simbolo della pasqua in tutte le regioni, e il formaggio di pecora molto diffuso in Abruzzo. La preparazione è assai semplice: l’agnello è rosolato in padella e, sul finire della cottura, si aggiungono le uova sbattute insieme al pecorino.
- Brodetto. È la versione abruzzese della zuppa di pesce, preparata in tutte le regioni che hanno un affaccio sul mare. Ne esistono due tipologie a pochi chilometri di distanza: quella pescarese e quella vastese. Nel primo caso viene preparato con abbondante soffritto, senza utilizzo di pesce azzurro e senza aggiunta di pomodoro. Quello vastese, invece, non prevede l’utilizzo del soffritto, ma viene aggiunto il pomodoro ed eventualmente altri ortaggi. Ad accomunarli c’è l’utilizzo del peperone.
- Cicerchie. Le cicerchie sono una pietanza combattuta tra più regioni. La loro preparazione è simbolo del Carnevale non solo in Abruzzo ma anche in Molise, Umbria, Marche e alto Lazio. Inoltre, ricordano gli struffoli napoletani, simbolo però del Natale. Si tratta di un impasto di farina, uova, zucchero, olio o burro. Può essere aromatizzato con un liquore o buccia di agrume. Dall’impasto si ricavano delle palline che sono fritte nell’olio e alla fine ricoperte di miele. Attenzione! Creano dipendenza e assuefazione.
- Scapece alla vastese. Piatto dalle origini antichissime; alcune fonti lo fanno risalire all’epoca romana e fa parte della tradizione marinara abruzzese. Solitamente è preparato con il palombo, pesce innocuo, ma che somiglia a un piccolo squalo. I filetti sono infarinati, fritti, poi conditi con aceto e zafferano, possibilmente quello aquilano tanto pregiato. Dopo essere condito è riposto in frigo e lasciato marinare, per poi essere consumato anche il giorno dopo.
- Fiadoni. Altra ricetta legata alle festività, in questo caso pasquali. Si tratta di un impasto ripieno a forma di mezzaluna a base di farina, uova, olio e vino. La farcia tradizionale prevede l’utilizzo di uova e formaggi di pecora a pasta dura. Tuttavia, esistono altre varianti che prevedono: l’aggiunta dello zafferano, guarda caso nella provincia de L’Aquila, l’aggiunta di salsiccia e/o salame e addirittura una versione dolce a base di ricotta. Il tutto è cotto in forno praticando un incisione sulla parte superiore in modo che il formaggio fuoriesca in parte e vi faccia sempre venir voglia di mangiarli.
- Sise delle monache. Il nome è tutto un programma. Parliamo di un dolce tipico di Guardiagrele, paese in provincia di Chieti. È un bignè, farcito con crema pasticcera e dove la parte superiore ha delle punte che ricordano i capezzoli. Perché proprio quelle delle monache? Rimane un mistero. La cosa più strana, però, è che ogni bignè non presenta due protuberanze, ma tre! La spiegazione non c’è e lascia spazio alla vostra fantasia.
- Celli ripieni. Sono dei biscotti rustici preparati in occasione dei matrimoni. Il nome, ancora una volta, può variare: celli pieni, calcioni, piccillati. L’impasto è base di farina, olio e vino, mentre il ripieno tipico è dedicato alla scrucchiata: confettura di uva Montepulciano. La farcia può essere poi arricchita in diversi modi.
- Genziana. Dopo aver mangiato tutte le ricette che vi proponiamo, niente di meglio che una Genziana. Si tratta del più tipico dei fine pasti Abruzzese; è preparato con la radice dell’omonimo fiore che cresce spontaneamente nelle zone di montagna. Si caratterizza per la forte intensità sia all’olfatto che al palato e per il gusto amarognolo ed erbaceo.
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