La Trota di Rivodutri: presente e futuro di un grande ristorante
Siamo tornati a provare la Trota di Rivodutri, ristorante due stelle Michelin in provincia di Rieti: ecco come è andata.
L’ultima volta che ho visitato La Trota a Rivodutri (Rieti) era il 2015. Scrissi un articolo entusiasta: era la prima volta che provavo un ristorante così radicale, territoriale e allo stesso tempo moderno. Ci sono tornata qualche tempo fa e non solo la qualità è invariata ma ci sono persino alcune novità che rendono necessario tornare a parlarne. Per tutti i grandi e piccoli ristoranti, gli ultimi due anni e mezzo hanno significato una sfida epocale. Mantenere i nervi saldi e ideare strategie di sopravvivenza è stata l’unica possibilità per gli addetti ai lavori del comparto. E visti i clamorosi rincari delle bollette causati anche dai recenti sviluppi del conflitto russo-ucraino, siamo ancora impantanati nelle sabbie mobili, più ci si muove, più si sprofonda. Come già abbiamo avuto più volte modo di osservare, sono i ristoranti a gestione familiare quelli con maggiore capacità di resilienza, a patto che la famiglia sia unita verso un comune obiettivo.
La gestione familiare e il sostegno della nuova generazione
La Trota è un ristorante di proprietà della famiglia Serva da generazioni. Il suo successo ha ridisegnato la cartina geografica del Lazio evidenziando con frecce al neon fosforescente un piccolissimo paese che altrimenti sarebbe stato per lo più sconosciuto. Da ristorantino di passaggio con piatti semplici è diventato avamposto della cucina mondiale con due stelle Michelin, premiato da tutte le guide nazionali e amato dagli avventori internazionali. Questo solo grazie all’intraprendenza dei fratelli Sandro e Maurizio Serva, autodidatti con le idee chiarissime e coraggio da vendere. Non si sono arresi al fatto che il loro territorio offrisse materie prime inusuali per l’alta cucina, non si sono arresi davanti alla distanza da Roma, che non è tanta ma pur sempre si tratta di un’ora e mezza di viaggio nella campagna.
E non si sono arresi davanti alle iniziali difficoltà dovute a questa scelta: cucinare prodotti di fiume e di lago, il temuto e non molto amato pesce d’acqua dolce.La sorpresa di questa seconda visita è stata trovare in sala i due figli dei fratelli Serva, i cugini Serva, se me lo concedete: Amedeo e Michele (classe 1992 e 1993). A guardarli da vicino, sembra proprio che vogliano ripercorrere il pattern genitoriale e rivendicare il loro posto al fianco dei padri. Umili, preparati, divertenti, pronti. Se vi capita di parlare di loro con Maurizio e Sandro, questi mostreranno con malcelato orgoglio la soddisfazione e gratitudine per la scelta, affatto scontata, dei giovani. Una bella storia.
Com’è cambiato il ristorante
Parliamo del luogo. Un posto da favola e lo è sempre stato. Forse uno dei più belli che io abbia visitato in Italia. Sembra una grande baita di montagna da fuori, sontuosa e accogliente allo stesso tempo, con un’aurea di casa abitata, di luogo familiare. La grande sala da pranzo è circondata da finestre che offrono la vista sulla campagna intorno fino al torrente che scorre a fianco del ristorante.
Dopo la pandemia, i Serva hanno valorizzato ancora di più l’esterno della struttura, permettendo ai commensali di mangiare sul piccolo – e incredibilmente romantico – ponte che attraversa il fiume. L’acqua è turchese, trasparente e non sono finti i due cigni che verso le 14:30 passano proprio lì, sotto di voi. Due alieni eleganti e maestosi che navigano con gli altri uccelli, sopra a trote grosse come l’avambraccio di un culturista, ben visibili tra i flutti d’acqua. Davvero, lascia senza fiato.
Il cibo
Chi mi segue lo sa, non amo parlare di ogni singolo piatto assaggiato in un’occasione in particolare. Qui però vale la pena almeno fare un elenco – seppur parziale – dei pesci messi a tavola dopo lavorazioni lunghe e difficili: Aspio, Pesce Gatto, Carpa, Tinca, Salmerino, Anguilla, Luccio Perca. La chiave della cucina è nella resa di queste carni complesse, abbastanza straordinaria ma non solo.
Oltre la lavorazione c’è il concetto del piatto, gli abbinamenti tra ingredienti comuni che diventano talmente curiosi da volerli replicare a casa; il gusto intelligente di inserire preparazioni complesse in piatti golosi, comprensibili, belli. E quell’elemento ludico che stimola la curiosità del cliente e lo fa appassionare alla scoperta di nuovi sapori, come si sono appassionati loro nell’atto di sintesi da pensiero a pietanza. Comunque, va detto, se proprio non volete provare il menu pesce d’acqua dolce (150€), c’è anche un menu terra (140) che tornerò ad assaggiare.
Non chiamatelo Tempio
Quando penso alla parola Tempio, mi vengono in mente le costruzioni degli antichi dedicate alle varie divinità, un’immagine che conduce irrimediabilmente all’idea di grandezza del passato, a qualcosa di vecchio e pure un po’ malconcio che è stato fantastico tempo fa e di cui ora rimangono giusto le rovine da visitare a 10 € al biglietto. Ecco, la Trota non è un tempio. È piuttosto il più moderno dei parco giochi a tema cibo dove si va per mangiare e stare bene ed eventualmente per veder crescere questa e la prossima generazione in modo inarrestabile. Come io gli auguro.