Sua Maestà la Bollicina e le regole per apprezzarla al meglio
I vini frizzanti, detti anche bollicine, non conoscono crisi e si adattano a qualsiasi occasione. Agrodolce vi svela le regole per servirli e gustarli.
Cosa hanno in comune un giovane Prosecco della Valdobbiadene, un elegante Franciacorta Satèn, un rotondo Metodo Classico trentino, un morbido Moscato d’Asti e un complesso Champagne millesimato, magari da uve Gran Cru e con qualche anno sulle spalle? la bollicina non conosce crisi, specialmente nel periodo delle feste in cui mette allegria ed è perfetta per il clima spensierato A parte l’essere tutte soluzioni idroalcoliche nate dalla fermentazione dell’uva (del Chinotto, ahimé, parleremo in futura occasione), l’unico altro elemento in comune tra loro è la capacità di produrre spuma. Ma il marketing esige le sue vittime e all’uomo della strada piacciono le cose semplici: nasce così sua Maestà la Bollicina, categoria ecumenica quanto fantastica che non conosce crisi e, anzi, riscuote consensi che definiremmo da larghe intese. Specialmente nel periodo delle feste, nelle case degli italiani la bollicina non può mancare: è croccante e mette allegria, fa il botto quando si stappa ed è perfetta per il clima dei momenti spensierati. Eppure anche lei deve sottostare ad alcune semplici regole, da seguire se si vuole goderne appieno a prescindere dal fatto che si tratti di una bottiglia da pochi euro o di una prestigiosa riserva da nababbi. Domani è l’ultimo dell’anno, siamo in tempo per un ripasso.
La temperatura di servizio ha fondamentali riflessi sulla percezione di profumi e sapori: servire un qualunque vino al di sotto degli 8° significa mortificarne il corredo gusto-olfattivo. Al salire della temperatura i profumi aumentano in ampiezza, si percepiscono meglio i sapori dolci e, specialmente nei vini rossi e rosé, diminuisce la sensazione di astringenza dovuta ai tannini. la temperatura di servizio dipende dal vino. un bianco giovane dovrà essere gustato a una temperatura più bassa rispetto a un grande vino rosso di struttura Di contro, più è bassa la temperatura di servizio e maggiore è la percezione delle componenti sapide ed amaricanti, l’acidità risulta molto più gradevole al palato e l’alcool è meno aggressivo. Questa è la regola generale, secondo la quale i vini bianchi e giovani vanno serviti a temperature ben più basse di quelle consigliate per i grandi rossi di struttura, con tutto ciò che, gradatamente, sta nel mezzo. Nei primi si avrà una freschezza più godibile, una sapidità più accentuata e una minore incidenza dell’alcool mentre l’intensità dei profumi primari, tendenzialmente semplici, non verrà eccessivamente penalizzata. Negli ultimi, salendo la temperatura, si valorizzerà al massimo l’ampio bouquet olfattivo e il sorso risulterà più rotondo e morbido. Per le bollicine va poi considerato che anche l’anidride carbonica esalta acidità ed astringenza e modera le percezioni dolci, e che questa si libera più lentamente ed in dosi minori alle basse temperature, con l’effetto di rendere il perlage (l’effervescenza) più persistente e fine. Va comunque tenuto presente che, una volta nei calici, la temperatura del vino sale di circa 2° in pochissimo tempo. Quindi potremmo così riassumere:
- spumanti dolci ed aromatici (es. Moscato d’Asti): 8°
- spumanti Metodo Martinotti / Charmat (es. Prosecco): 8°/10°
- spumanti Metodo Classico / Champenoise (es. Franciacorta): 10°
- spumanti rossi dolci ed aromatici (es. Brachetto d’Acqui): 10°/12°
- spumanti Metodo Classico / Champenois millesimati: 10°/12°
Ideale sarebbe portare a temperatura la bottiglia in un secchiello con una mistura di acqua, ghiaccio tritato e sale, utile anche per mantenere in fresco la bottiglia aperta, ma un normale frigorifero va benissimo. Da evitare, invece, il congelatore, troppo aggressivo. Anche la forma dei calici è molto importante e, a meno che non vi troviate nelle fortunate circostanze che suggeriscono una coreografica scarpa con tacco a spillo, vale la pena dedicargli un po’ d’attenzione.
In principio era la coupe, la coppa che leggenda vuole modellata sui seni di Jeanne Antoinette Poisson, maîtresse-en-titre di Luigi XV, più nota come Madame de Pompadour. Ma perché scegliere un calice piatto e largo, di grande superficie, per un vino che vede proprio nell’incessante salire delle catenelle di bollicine uno degli elementi principali del suo fascino? Semplice: un tempo lo Champagne era dolce (o quanto meno demi-sec), aromatico e rifermentava in bottiglia con lunghe soste sui propri lieviti. L’ampiezza della coppa favorisce al massimo l’espansione dei profumi complessi a discapito dell’effervescenza, che però ai tempi veniva considerata la principale causa del dare alla testa dello Champagne. Inoltre la sua ampia apertura convoglia il vino in maniera uniforme al palato, evitando la concentrazione sulla punta della lingua, dove abbiamo il maggior numero di recettori per le sensazioni dolci. Non a caso oggi la coupe è nota come coppa Asti o coppa Moscato, proprio a rimarcare la sua predilezione per gli spumanti dolci e particolarmente aromatici.
Con l’avvento dei vini spumanti secchi, più graditi ai facoltosi clienti d’oltremanica, si iniziarono ad usare calici sempre più stretti e lunghi, fino ad arrivare alla flûte, ancora oggi di gran moda. Questa ha caratteristiche del tutto differenti dalla coppa: la forma affusolata accentua il flusso di bollicine che sale verso la stretta apertura, concentrando i profumi anche quando sono più semplici, primari, e rendendoli più intensi nonostante la bassa temperatura. la flûte accentua il flusso delle bollicine, mantiene a lungo l'effervescenza ed esalta il minimo residuo zuccherino del vino, ma ha comunque i suoi detrattori Inoltre, trattandosi spesso di vini freschi e sapidi, la forma della flûte ne esalta il minimo residuo zuccherino convogliando il vino proprio sulla punta della lingua. Infine ne mantiene più a lungo l’effervescenza e rallenta l’innalzarsi della temperatura. Eppure anche la flûte ha recentemente trovato i suoi detrattori, che la incolpano di non permettere ai vini più complessi di esprimere pienamente tutto il potenziale del loro bouquet aromatico, sviluppato durante la lunga permanenza a contatto con i propri lieviti. E c’è del vero in questo, ma va anche detto che certi limiti si evidenziano solo al cospetto di grandi vini, metodo classico o champenoise, il più delle volte maturi e millesimati (cioé con uve provenienti da un’unica vendemmia in grande annata). Comunque sia, per i palati (e i nasi) più esigenti è possibile utilizzare il classico calice a tulipano normalmente indicato per i vini bianchi. Gli amanti del design invece non perdano i nuovi calici da qualche anno sul mercato, che fondono le caratteristiche della flûte a quelle del calice da vino bianco. Qualunque sia la vostra scelta, optate per un calice trasparente, magari di cristallo, per godere al massimo di brillantezza e perlage.
Ma, al cospetto di sua Maestà la Bollicina, anche l’etichetta vuole la sua parte, che nel nostro caso ha dei risvolti pratici non banali. Il calice va tenuto sempre per lo stelo, più vicino possibile alla base: vi eviterà di scaldare il vino con la mano e, soprattutto, preserverà i profumi dalle contaminazioni da saponetta o peggio. Poi, a meno che non siate sul podio con una corona di lauro al collo, circondati da giovani, avvenenti signorine in abiti discinti, evitate di scuotere la bottiglia prima di stapparla.per non perdere nulla dell'esperienza al palato è bene non scuotere la bottiglia, anche a discapito del botto e del consguente fiotto di schiuma Il botto fa allegria, non c’è che dire, ma dice il saggio: “Ciò che l’orecchio sente, lo perde il palato“. Stappate con grande attenzione la bottiglia: l’ideale sarebbe far scivolare lentamente il tappo fino a sentire il lieve sospiro dell’anidride carbonica. Questo preserverà il perlage anche se dovrete rinunciare al gerbage, il copioso fiotto di schiuma che fa tanto macho. Tenete presente che un tappo di Champagne saltato senza controllo può raggiungere i 50Km/h, e far finire la festa prima del previsto. Per i più temerari – per la serie don’t try this at home – esiste l’antica tecnica del sabrage, che vede le sue origini in epoca napoleonica. Se non siete Ussari usate una sciabola realizzata ad hoc, la sabre à Champagne appunto, lunga 30/40cm, senza punta e con la lama non affilata: si scorre lungo il corpo della bottiglia, tenuta inclinata con l’altra mano, facendo salire le bollicine verso il tappo, quindi si assesta un colpo secco al cercine (o baga, la modanatura ad anello sul collo della bottiglia) facendo volare via tappo e collare assieme. Ho visto farlo con successo da esperti anche con una carta di credito, ma più spesso ho visto tentativi che definire maldestri è un eufemismo quindi, se proprio volete far colpo, allenatevi prima con dell’acqua minerale molto gassata, e state sempre attenti ad avere campo libero. Qualcuno sostiene che gelare il collo della bottiglia faciliti l’operazione.
Dunque ora siete pronti per brindare, gioiosi, con spumanti dolci in coppa, freschi Prosecco in flûte, grandi millesimati in calice a tulipano, tutti alla giusta temperatura. Ultima avvertenza: rispettate quel minimo di buon senso nell’abbinamento col cibo, ed evitate di abbinare un Prosecco citrino al panettone o un dolce Moscato ai crudi di mare. Buon anno a tutti.