Home Chef I racconti del professore: Rose Salò

I racconti del professore: Rose Salò

di Alfonso Isinelli 2 Maggio 2019 09:10

Rose Salò è un ristorante voluto da due giovani chef che hanno rilevato la trattoria storica del paese: l’abbiamo provato per voi.

La storia inizia nel 2015: due ragazzi, Marco Cozza e Andrea De Carli stanno cercando un locale per aprire il loro primo ristorante. una storica trattoria al centro del paese rilevata da due ragazzi nel 2015 Si erano conosciuti negli ultimi anni dell’Albereta marchesiana e poi si sono rincontrati per l’apertura e i primi anni del Cambio di Matteo Baronetto. E lì nasce l’idea di mettersi in proprio, girano senza una meta ben definita e poi si presenta l’occasione a Salò, sul Lago di Garda, loro che da un’altro lago vengono, quello di Como, che sembra uguale ma non è la stessa cosa. Sta per lasciare l’attività, dopo trent’anni, Gianni Briarava, gestore di una storica trattoria nel centro del paese, Le Rose (via Gasparo da Salò, 33), che aveva accumulato successo di pubblico e di critica, una delle prime tavole a dare una svolta qualitativa alla ristorazione gardesana. Marco e Andrea colgono l’occasione al volo, stanno ai fornelli negli ultimi mesi della vecchia gestione anche per inquadrare locale e clientela. E poi partono.

Sono passati 3 anni durante i quali con calma e passi ponderati hanno modificato la sala, imposto con i giusti tempi una nuova linea di cucina, sempre legata al territorio, soprattutto nel rapporto consolidato con i produttori della zona. E hanno l’intelligenza di mantenere il nome, Trattoria alle Rose, per dare continuità e non rompere i legami con il passato. E alla fine di questo triennio la quadratura del cerchio è vicina: la storica trattoria è diventata un luogo che parla del territorio con la giusta  consapevolezza e con empatia tra storia e modernità.

Come dimostra il menu dedicato a Gabriele D’Annunzio, che viveva a due passi di qui a Gardone Riviera. Spulciando tra gli archivi sono venute fuori le note che il Vate lasciava alla sua domestica per il pranzo del giorno. Tra risotto magistrale, ossobubuco (scritto proprio così) e asparagi di monte con olio è nato un percorso degustativo a 60 euro. L’altro menu si chiama Herbario, in due percorsi da 5 e 10 erbe a 50 e 100 euro: è un viaggio nel mondo vegetale, raccolto e ordinato, che vi è portato in un piatto all’inizio del pasto con tutte le erbe che saranno usate e che potete odorare, toccare, gustare durante tutto il pranzo.

Dopo una buona serie di appetizer, su tutti il Krapfen dolce con polvere di agrumi del Garda e alborella fritta, molte di quelle verdure le ritroverete cotte alla griglia servite con una leggera Bagna cauda. Già da qui comincerete a capire il senso del lavoro di Marco e Andrea e quanto sia strettamente legato ai luoghi che li circondano. Il Gambero nel lago, nel suo unire il crostaceo nella versione di fiume a biete, corniolo e caviale dona una sensazione acquosa, quasi di immersione.

Il Controfiletto di pecora, che rimanda a una pastorizia quasi scomparsa, è servito con lattuga di mare e un fondo di brò brusà, il brodo dei tempi poveri che si otteneva bagnando la farina tostata a fondo pentola. Ancora recupero nella Panada, la zuppa con il quale si recuperava il pane raffermo, che qui diventa pane alle spezie condito con burro d’alloro, puntarelle, bottarga di branzino e bagnato da un brodo di carne ed erbe: una delizia.

I brodi sono un segno distintivo, oltre alla parte vegetale, a definire molti piatti, come nel dashi aromatizzato al papavero che accompagna cavedano e rognoni. i brodi sono un segno distintivo che definisce molti piatti del menu Quello di pecora è presente in un piatto che rappresenta un’altra caratteristica de Le Rose, la squadra. Aprendo la carta vedrete che è firmata da tutti, personale di sala incluso e questo porta ad un piatto dove la Sardegna è protagonista, grazie a Sandra Sanna, bravissima maître, di origine sassarese, che dalla sua terra ha portato il pane zichi, un carasau più spesso che nella tradizione era servito con brodo di pecora, fava e pecorino, ai quali qui si aggiungono lumache franciacortine e bagnetto rosso piemontese. Un piatto suggestivo, ricco di mille richiami, buonissimo, che chiude il cerchio di cui parlavamo prima. Ci sarebbe ancora una brillante rivisitazione dell’ossobuco, dei meno convincenti fusilli al ragù, rabarbaro e acetosa e una Mela al sale con gelato alla ruta di golosa umiltà, ma l’invito è quello di concedersi una gita a Salò, godendosi il lago, prima di sedervi a questa tavola.

Se chiedete ai due chef se tra cinque anni saranno ancora lì, vi risponderanno che gli manca l’adrenalina, che hanno vissuto, del grande ristorante. Ma ci sta ancora tempo per goderseli e vederli crescere qui, dove sta passando una storia importante della cucina italiana presente e prossima.

  • IMMAGINE
  • Nicolò Brunelli