Assommoir Restaurant Bistrot, Torino
L’Assomoir Restaurant Bistrot, a Torino, propone una cucina tradizionale con sfumature provenienti da tutto il mondo.
L’Assommoir, il titolo del romanzo di Émile Zola e dell’omonima taverna citata nell’opera, da gennaio 2022 è anche l’insegna torinese dalla quale lo chef Niccolò Tealdi, il sous chef Pietro Caronti e la responsabile di sala Carlotta Tritto (tutti e tre soci e precedentemente in forza nel noto cocktail bar cittadino Affini) hanno deciso di ripartire. Il contesto è quello del centro sabaudo, tra Piazza Solferino e Piazza Castello, e l’intento è semplice: soddisfare il desiderio di chi è in cerca di una buona cucina in zona sia a pranzo sia a cena, con un particolare occhio di riguardo alla parte cocktail, non a caso visti i trascorsi. Dopo il restyling di inizio anno, l’elegante sala da 40 coperti con i divanetti sui lati e le stampe colorate alle pareti ha mantenuto alcune delle peculiarità dell’enoteca e pizzeria presente fino all’anno scorso: il soffitto bianco e alto, che richiama quello di un palazzo d’epoca, e il forno a legna, adesso utilizzato per sfornare il pane (croccante, morbido e gustoso) servito all’inizio del pasto. La cucina si articola in proposte che vanno dai taglieri di salumi e formaggi e dai cicchetti, rispettivamente con scelte di nicchia e proposte quali mini-burger e pinchos, per passare alle portate principali, con quattro scelte per ognuna, in grado di soddisfare amanti di carne, pesce e vegetariani. La filosofia è quella di un bistrot: pochi ingredienti, cotture capaci di valorizzarli appieno e una presentazione curata e minimale, con porzioni che invogliano a ordinare più cose, magari in condivisione. Le siciliane Sarde alla beccafico sono rivisitate in chiave giapponese, con la possibilità di intingerle nella salsa di soia, il Capunet ripieno di manzo, zucchine e limone si arricchisce con la crema di verdure e cialda di pecorino, la Pasta al pomodoro diventa più complessa e completa con il tocco speziato nel piatto del Bloody Mary, ordinabile anche da una carta cocktail che conta pochi altri e selezionati grandi classici. Per chi lo desiderasse, dal menu si può andare sul sicuro ma è scegliendo le opzioni più curiose che si rimane piacevolmente intrigati. Il porro diventa filetto, con una cottura che lo fa appassire in padella fino alla consistenza di burro, prima di essere accostato a pomodori e cipolla, la panzanella, invece, si fa dolce, con il pane che viene imbevuto in uno sciroppo di frutta e poi condito con una composta di frutta, dai sapori rustici. Nonostante alcuni dettagli (come il sovrapporsi di sapori o certe temperature di servizio) potrebbero e saranno sicuramente affinati, l’impressione è quella di un ristorante che vuole sperimentare e che ha anche il merito, non in secondo piano, di farlo con consapevolezza. Poi si beve bene, anche al calice, e si può scegliere da una carta asciutta che vanta sia proposte del territorio sia francesi (le uniche in tema bollicine). Si può concludere ancora con un cocktail o con un vino dolce, in abbinamento ai tradizionali dessert. Il servizio in sala è giovane, di bella presenza e un filo troppo garbato per un bistrot.