Alta ristorazione, la festa è finita? Cosa sappiamo sulla crisi dei ristoranti stellati
In seguito alle numerose chiusure di famosi ristoranti stellati e alla più recente divulgazione della notizia riguardante i conti in rosso dello chef Carlo Cracco da parte di Affari Italiani, non ci sono più dubbi: la ristorazione gourmet sta affrontando una profonda crisi. Sul tema, lo chef Giancarlo Morelli, si è espresso in modo molto diretto. Ecco che cosa ha detto.
La notizia divulgata da Affari Italiani, che riporta il deficit di bilancio del ristorante di Carlo Cracco in Galleria a Milano, conferma un’amara ma oramai evidente verità: l’alta ristorazione è in crisi. Infatti, se alcune delle recenti chiusure di ristoranti fine dining (dal St. Hubertus, ristorante 3 stelle di San Cassiano, al ristorante situato alla stazione centrale di Milano di Filippo La Mantia in Italia e dal Noma di Copenaghen, il miglior ristorante del mondo, al Twins garden in Russia all’estero) avevano già lanciato qualche preoccupante segnale, con la rivelazione riguardante i conti in rosso dello chef italiano di dubbi non ce ne sono più.
La replica dello chef Giancarlo Morelli
In seguito alla diffusione dell’indiscrezione riguardante Cracco che, in cinque anni di attività, avrebbe accumulato 4,6 milioni di euro di debiti, il cuoco del Pomiroeu di Seregno, faro nella ristorazione dal 1993, e di Morelli Milano, il ristorante all’interno dell’Hotel Viu in zona Sarpi, Giancarlo Morelli, ha deciso di intervenire e, con fermezza, esprimere la sua posizione. Così, in un post pubblicato subito dopo la divulgazione della notizia sull’amico Cracco, Morelli ha scritto
“Il passivo di Cracco è il passivo di noi tutti ristoratori che facciamo da sempre una cucina di qualità. Siamo tutti in passivo e gran parte della ristorazione oggi vive di debiti per sopravvivere”.
Se gli affitti troppo alti, l’energia alle stelle, il personale sempre più difficile da reperire e la concorrenza spietata sarebbero quindi i motivi più noti per cui la cucina stellata appare sempre più in difficoltà, secondo lo chef, il male peggiore sarebbe però uno solo. Cioè che, nonostante l’importante evoluzione della cucina italiana avvenuta negli ultimi anni,
“la gente non ha imparato a mangiare. Mangiare meno e mangiare meglio”.
Lo chef, infatti, deluso, amareggiato e incredulo di quanta gente ci sia oggi in coda nei fast food, nei ristoranti veloci, nei casottini sorti per strada durante il Covid, sostiene che se i ristoranti di alta cucina fossero più valorizzati sostenere una produzione di qualità sarebbe sicuramente possibile. Ma non solo. Sarebbe anche possibile prima fondare e poi diffondere una vera e propria cultura dl cibo che, tra l’altro, caratterizzerebbe e promuoverebbe in primis il nostro Paese.
I dati economici
Da prendere in considerazione, però, non ci sono solo le opinioni soggettive. Secondo l’ultimo Rapporto Annuale Ristorazione di FIPE-Confcommercio presentato pochi giorni fa, i consumi nella ristorazione sarebbero in crescita. Tuttavia, resterebbero però sotto i livelli pre-pandemia. Ecco perché si ritiene che sia davvero
“urgente ripensare i modelli organizzativi delle imprese”.
A cominciare proprio dall’alta ristorazione.
In conclusione
In conclusione, se, come sostengono molti chef famosi e quotati (tra questi, ad esempio, Ferran Adrià e René Redzepi), il fine dining, il settore dei ristoranti di alto livello da noi spesso chiamati ristoranti stellati, non è
“economicamente ed emotivamente sostenibile”
quali saranno allora le conseguenze di questa crisi oramai generalizzata e sempre più vasta?
Secondo quasi tutti gli esperti del settore, la questione economica in realtà è piuttosto chiara: i ristoranti, che sono un business dai margini di profitto molto limitati (quelli di altissimo livello sono per lo più insostenibili) e che si basano per lo più su proventi fragili come i conti pagati dai clienti, sono sempre più a rischio. Pertanto, o avverrà un cambiamento radicale o, probabilmente, quello scenario apocalittico protagonista di oramai numerosi film e serie tv, secondo cui il cibo gourmet scomparirà, potrebbe anche diventare, ahimè, la realtà.