Omakase: tutto quello che c’è da sapere
Omakase vuol dire affidarsi allo chef: scopriamo vantaggi e svantaggi di questa particolare tradizione nei ristoranti giapponesi.
Mai sentito il termine omakase? È strettamente legato alla cultura e alla cucina giapponese, possiamo tradurlo in italiano con due frasi molto significative: Mi fido di te e Lascio a te la scelta. Ciò significa che se davanti al menu non si hanno le idee chiare, se proprio non si riesce a prendere una decisione circa le portate da ordinare, si può semplicemente lasciare carta bianca allo chef. Attenzione, però. Perché lo chef non fa di testa sua, non agisce esclusivamente in base all’ispirazione del momento, ma segue regole ben precise. E costruisce un vero e proprio percorso culinario, basato su un sapiente mix di sapori e colori.
Step by step
Per chi sceglie l’omakase, gli chef dei ristoranti giapponesi e dei sushi bar partono dalle pietanze più delicate, per esempio quelle a base di seppia, calamari, tonno rosso, mazzancolle. Si procede poi coi sapori più intensi e decisi, ma anche con gli alimenti più grassi; ecco quindi entrare in scena il salmone, l’anguilla, la triglia. Si alternano preparazione crude e cotte, nonché differenti modalità di cottura: a vapore, in pentola, alla griglia, frittura. La parte finale del percorso, generalmente, è quella in cui lo chef mette in campo davvero tutta la sua creatività. E possono arrivare grandi sorprese.
I vantaggi di questa formula
L’omakase comporta tanti vantaggi: prima di tutto, affidandosi allo chef si ha la certezza che selezionerà il pesce più fresco (e lui sa bene cosa c’è in cucina). In secondo luogo, se conosce il cliente ha modo di mettere a punto un menu personalizzato a tutti gli effetti. Terzo, subentra il gusto della scoperta e si possono assaporare pietanze mai ordinate prime. Godendo anche delle giuste combinazioni, di una gradualità che consente di percepire meglio ogni sapore. Nulla viene lasciato al caso. Aggiungiamo che questa formula si rivela perfetta anche per chi è ai primi approcci con la cucina giapponese. Non solo. Esiste un requisito fondamentale affinché si possa parlare di omakase e consigliamo di prendere nota: il cliente si siede al banco. E così ha modo di vedere lo chef all’opera, il che è una garanzia in più ma anche un piacere per gli occhi. Perché in fondo si tratta di un’esperienza che coinvolge tutti i sensi, vista compresa.
I contro dell’omakase
Ma passiamo ai contro. In primis, in Italia sono ancora pochi i locali giapponesi in cui è possibile optare per l’omakase e sostanzialmente si trovano tutti nelle grandi città. Poi diciamolo: non sempre c’è da fidarsi. Un campanello d’allarme? Il fatto che il cliente non venga fatto accomodare, appunto, al banco. A ciò è collegato un altro indizio poco rassicurante, relativo ai numeri: dal momento che la formula è riservata a chi si siede al banco, i posti sono sempre pochi. Se abbondano o comunque non ci sono limiti, e in più la consumazione avviene ai tavoli, c’è decisamente qualcosa che non va. Unica eccezione: alcuni ristoranti organizzano dei social table ad hoc. Ma anche in questo caso lo chef lavora davanti ai commensali. Postazione a parte, l’elemento determinante resta la fiducia. Se non è totale, se non si ha una buona conoscenza del locale in questione, meglio evitare. Stessa cosa dicasi nel caso in cui non si apprezzino proprio tutte le portate della cucina giapponese, perché si corre il rischio di ritrovarsene davanti (almeno) una che non piace. Infine, questione prezzi: l’omakase non è economico, il costo minimo è di circa 70-80 euro a persona ma si possono raggiungere anche i 160-180 euro. Però questa non è una sorpresa, la cifra viene sempre rivelata prima.