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Osteria degli Orti a Vallerano | Rece Rock

di Alex Giuliani 3 Dicembre 2022 13:00

L’Osteria degli Orti è un piccolo ristorante a Vallerano, in provincia di Viterbo, dove assaggiare la cucina tradizionale della Tuscia.

In autunno, una delle zone in assoluto più belle da visitare è indubbiamente la Tuscia e, in particolare, tutta l’area in provincia di Viterbo. Qui, tra ottobre e novembre, ci sono numerose sagre: quella della castagna, della nocciola e del vino, tutte rese ancora più pittoresche grazie all’apertura delle cantine e alle rappresentazioni storiche in costume che possono farti sentire come Troisi e Benigni in Non ci resta che piangere quando arrivano a Frittole. Tutto molto bello, anche se, dopo aver affrontato le ripide salite e le scalinate di paesini meravigliosi come Soriano del Cimino, Canepina e Vignanello, avrete di sicuro i polpacci di granito di Hans-Peter Briegel, il giocatore tedesco degli anni ottanta soprannominato Panzer (anche io ero soprannominato così ma per via del mio girovita generoso). Non fa eccezione Vallerano, dove si trova l’Osteria degli Orti. Dopo aver comodamente parcheggiato a Largo Trento, il locale dista a soli 101 metri, ovvero 132 passi. Un gioco da ragazzi, direte voi. Ma io non sono più un ragazzo da almeno trent’anni e, lo ammetto, la salita di Via Porta Nuova ha compromesso per sempre la mobilità dei miei arti. Praticamente, adesso che sono arrivato alla meta, mi sento come Paul Sheldon in Misery non deve morire dopo essere stato preso a mazzate sulle caviglie da Annie Wilkes.

Una volta entrato nel ristorante, mi accoglie Riccardo Neri, il simpaticissimo e loquace titolare che qui dentro si occupa di tutto: risponde al telefono, prende le prenotazioni, cucina, serve al tavolo, pulisce, si siede con te a chiacchierare. Certo, potrebbe anche pagarti il conto e farti il pieno alla macchina ma non si può avere tutto dalla vita. Sebbene io non riesca a rispondere perché ho ancora il fiatone di Roberto da Crema durante la televendita del Fast Clean, mi sento subito a mio agio a parlare con lui.

Il ristorante è piccolino, ha una ventina di coperti ed è davvero grazioso, con i tipici muri di tufo a vista e arredato con pezzi d’antiquariato rurale. Riccardo mi dice che ha tenuto il ristorante aperto solo perché avevo prenotato io. Ne sono lusingato ma lo rassicuro: non avrà nessuna mancia extra per questo. Viste le mie consuete e ataviche difficoltà da vecchio catorcio nel leggere il menu con il QR Code, neanche fossi Abraham da solo davanti alla porta, scelgo che cosa mangiare facendomi dare dei consigli. Inizio con uno strepitoso fegatino di pollo alla salvia e bacche di Sichuan su crema di spinaci e già godo come un cinghiale sotto una quercia carica di ghiande. È squisito! La crema di spinaci è talmente buona che ripulisco il piatto con una foga pari a quella del lavavetri polacco di Willy Signori e vengo da lontano.

Decido quindi di tuffarmi come Greg Louganis in una zuppa di ceci con castagne, curry e semi di lino e, dopo essermi procurato un’ustione di terzo grado alla lingua e aver passato un quarto d’ora a stemperarla nel lavandino del bagno, riesco finalmente a gustarmi questo piatto tipicamente autunnale e, qui, davvero delizioso.

Mi sento in forma come se dovessi partecipare ai Mondiali in Qatar e, quindi, ordino anche delle favolose mezze tacche con sugo di spuntature, salsiccia e pecorino. Per chi non le conoscesse (e io ovviamente non le conoscevo), le mezze tacche somigliano a delle pappardelle corte e sono spesse come le bretelle di Cary Grant. E sono proprio delle bretelle che vorrei indossare oggi: ormai la cinta stringe come il laccio emostatico di Cesare in Amore TossicoDopo aver lucidato anche questo piatto con una scarpetta degna del maestro Kesuke Miyagi di Karate Kid quando mette la cera e toglie la cera, passo ai secondi. 

Il polpettone con cicoria ripassata, nonostante abbia l’aspetto di un mattoncino di tufo rosso della zona, è discreto ma decisamente più nella norma. Si torna a volare con il successivo porco in essenza con salsa di mirtilli. Fagocito i tre diversi tagli di carne come una spazzatrice stradale dell’AMA, facendo del mio meglio per tener separato il sacro maiale dalla salsa dolce e mettendoci lo stesso impegno di Mills Lane, l’arbitro di boxe che cercava di separare Tyson e Holyfield. Sono pieno come la mia wishlist di Amazon e ormai siedo come la signora Augusta alla Biennale di Venezia nell’episodio Le Vacanze Intelligenti di Dove vai in vacanza? e quindi ordino quello che, secondo me, è il dessert più leggero del menu. Le castagne affogate nel liquore di alloro sono un happy ending degno di un centro benessere illegale e il buon Riccardo mi lascia la bottiglia di liquore artigianale ben sapendo che ne raccoglierà solo il vuoto.

Esco davvero soddisfatto (e brillo) con la promessa di ritornare presto. L’eccessiva ingestione di ceci e castagne mi fa somigliare a una zampogna gonfiata a elio. Poco male, perché le flatulenze mi aiuteranno ad affrontare le salite di Vallerano proprio come fanno i lamantini nelle acque del Mar dei Caraibi.