Alla scoperta del pane di Bologna
Il pane di Bologna è un prodotto tipico che sta sparendo: conosciamolo meglio e scopriamo tutti i suoi formati.
Qual è la prima cosa che vi viene in mente pensando a Bologna? Le risposte a questa domanda saranno tra le più varie, ma una delle cose a cui molti avranno pensato è la mortadella, da consumare magari all’interno di un caldo panino. Sì, perché oltre a tigelle e crescentine, dovete sapere che il pane bolognese – che si caratterizza per una così ampia varietà di formati che chiamarlo semplicemente pane è forse troppo generico e riduttivo – è uno dei prodotti tipici che dovreste assolutamente provare.
Per parlarvi come si conviene del pane bolognese abbiamo fatto una chiacchierata con Samuel Mafaro, dello storico forno di Porta Lame e membro dell’Associazione Panificatori di Bologna, che ci ha fatto conoscere più da vicino questo demone. L’utilizzo di questo termine potrà sembrarvi strano, ma la verità è che il pane (a pasta dura) sfornato all’ombra delle due torri è – a detta di Samuel – spesso mal visto per una serie di ragioni: in primis perché fatto con farina 0, che nell’immaginario collettivo è raffinata e dunque nociva, perché nell’impasto vengono utilizzati olio o strutto, che fanno ingrassare al sol parlarne, e infine per via del lievito, a cui ora sembriamo tutti stranamente allergici mentre e che invece era un bene di prima necessità durante il lockdown.
Un altro elemento che rende unico il pane bolognese sta nel fatto che per la sua preparazione viene utilizzata la biga – una sorta di preimpasto ottenuto miscelando acqua, una farina di frumento forte tipo 00 e naturalmente lievito, e lasciato riposare per almeno 18 ore – la cui funzione è quella di accelerare la lievitazione e fermentazione dell’impasto oltre che di donare gusto e profumo al pane.
Il pane bolognese è dunque una vera e propria chicca la cui preparazione richiede grande maestria perché viene lavorato rigorosamente a mano dai sempre meno numerosi furner (in dialetto bolognese) della città che, all’interno dei loro laboratori, compiono – notte dopo notte – il miracolo di trasformare farina, acqua e lievito in rondini, ragni/ragnini, spolette e co. Tra i formati di pane più gettonati ci sono barillini, crocette (che si differenziano da quelle ferraresi per il nodo centrale), nastrini, carciofini o garofanini (chiamati in modo diverso nei vari quartieri della città), montasù, mustafà o schioppo, oltre al pane piuma o pane della domenica così denominato perché – per la sua morbidezza – i bolognesi erano soliti acquistarlo il sabato per consumarlo appunto di domenica. Non mancano infine all’appello pani al latte, tra i formati più a rischio estinzione, come esse, spolette e rosette.
Perché questo pane rischia di scomparire? Perché viene acquistato in prevalenza da anziani, perché la pandemia ha ridotto drasticamente il consumo di questa tipologia di pane a vantaggio di quello acquistabile al supermercato, e – altro tasto dolente – per lo scarso ricambio generazionale tra i fornai da cui deriva una sempre maggiore difficoltà a trovare manodopera specializzata; problema al quale l’Associazione Panificatori di Bologna sta però cercando di porre rimedio.