Perché non dovresti mai mangiare melanzane e patate crude
Patate e melanzane non si consumano mai crude, ma sapete quale è il motivo? Le colpevoli sono le solanine. Ecco perché.
Da qualche parte in casa, possibilmente al buio e in un luogo fresco, ci sono sicuramente delle patate. Che nonostante si siano affermate davvero soltanto nel XVIII secolo, fanno ormai parte consolidata della nostra cultura culinaria. Abbiamo imparato a prepararle in ogni modo e maniera – bollite, al forno, fritte, schiacciate, in purè, in crocchetta – e la prima cosa che ci hanno insegnato in assoluto è che non si mangiano crude. Ma perché? Spiegone.
Botanica: la famiglia d’origine
Insieme a pomodori, peperoni, peperoncini e melanzane, le patate fanno parte della famiglia delle solanacee, che raccoglie un nutrito gruppo di piante angiosperme dicotiledoni tra le più ricche di specie pericolose, la cui tossicità è dovuta alla presenza di alcune sostanze dette glicoalcaloidi, che consentono ai vegetali di proteggersi da attacchi esterni e di repellere insetti e funghi.
Chimica: le solanine
Chiamando in causa sempre l’amichevole chimico di quartiere Dario Bressanini, i glicoalcaloidi contenuti nelle patate (commerciali) sono l’α-solanina e la α-caconina, spesso chiamate collettivamente solanine. Spiega Bressanini: “In piccole quantità contribuiscono a costruire il sapore, blando, della patata. In quantità superiori rendono la patata amara mentre in quantità elevate possono causare problemi di salute ai consumatori“.
Dove si trovano le solanine
La zona del tubero dove le solanine si concentrano di più è la buccia, insieme a quella immediatamente sottostante, spessa pochi millimetri. La loro concentrazione dipende da fattori genetici come varietà delle patate, fattori ambientali per la crescita, temperatura, conservazione. “Più è grande la patata – scrive ancora Bressanini – minore solitamente è la concentrazione di solanine. Queste si sviluppano anche nei germogli, che infatti non vengono consumati“.
I rischi nel consumo
Il consumo di solanine da parte dell’uomo è pericoloso. Può provocare, entro 8-12 dell’ingestione – ma in alte concentrazioni anche entro 30 minuti – sintomi come mal di testa, vertigini, nausea, vomito, diarrea, tachicardia, problemi respiratori e del sistema nervoso. Studi condotti sui roditori hanno attestato sui 2-5 mg per chilo di peso la quantità minima per l’intossicazione, stimando di conseguenza i 3-6 mg/kg per quanto riguarda l’uomo.
Le patate verdi
Più le patate vengono esposte alla luce, più la concentrazione di solanine aumenta. Ecco perché andrebbero sempre conservate in un luogo buio e fresco, onde evitare anche la germinazione. “In letteratura – chiarisce ancora il chimico – sono anche riportati casi di avvelenamento da patate verdi con esito fatale, anche se non in anni recenti“.
I livelli di sicurezza consigliati dall’OMS
Per tutte le motivazioni sopra citate, le patate in commercio rispondono a livelli di sicurezza cautelativi consigliati (ma non obbligatori) dall’OMS. In un recente report l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito che i dati disponibili non consentono di determinare un livello sicuro di assunzione e che “i normali livelli di glicoalcaloidi (20-100mg/kg) riscontrati nei tuberi adeguatamente coltivati e manipolati non destano preoccupazione“.
Basta cuocerle?
La risposta la offre ancora Dario Bressanini e purtroppo è no. Le solanine, infatti, non degradano totalmente in cottura, al massimo la loro concentrazione diminuisce parzialmente. “Questo perché – spiega ancora il chimico – le solanine si decompongono solo a temperature vicine a 260 °C, quindi molto superiori alla temperatura di una normale frittura. I livelli di solanine vengono tenuti sotto controllo nei prodotti commerciali, e solo in rari casi si sono trovati dei prodotti dove il contenuto di solanine era superiore a quello raccomandato tranne che nelle bucce fritte, che possono superare i limiti di sicurezza consigliati. Se vi piacciono le bucce di patate fritte tenetelo presente“.
L’amido e gli antinutrienti
A tutto questo si aggiunge, inoltre, l’amido presente nelle patate crude. Ancora Bressanini: “È in una forma cristallina – chiarisce – che generalmente resiste all’attacco delle amilasi, i nostri enzimi digestivi, rendendole particolarmente indigeste. La cottura gelatinizza l’amido delle patate rompendo la sua struttura cristallina e rendendolo attaccabile dagli enzimi. In più le patate crude contengono alcune sostanze dette antinutrienti perché interferiscono con il normale assorbimento di nutrienti da parte del nostro corpo. Queste sostanze sono però solitamente sensibili al calore e vengono disattivate quasi completamente dalla cottura. Ecco perché le patate è meglio consumarle cotte“.
Come le melanzane
Appartenendo alla stessa famiglia, amido a parte, lo stesso discorso sulle solanine vale anche per le melanzane. Quanto più sono acerbe e verdi, tanto più la concentrazione di solanina è elevata. Dunque, niente melanzane a fiammifero crude nell’insalata, ma cottura necessaria quantomeno per ridurne la concentrazione. E salatura preventiva, per far perdere parte dell’acqua e dell’amaro sicuramente, ma anche per aiutare, ancora, a degradare le solanine presenti.