Pizza: le lunghe lievitazioni servono davvero?
Sempre più spesso si sente parlare di lievitazioni lunghe giorni: servono davvero oppure è un modo in più per attrarre la clientela?
Da sempre la maggior parte dei pizzaioli si è abituata a lavorare i propri impasti in poche ore, con tempi di lievitazione dalle 3 alle 12 ore come tempo massimo nelle pizzerie che lavorano sia a pranzo che a cena. E la gente ha sempre comprato la pizza senza lamentare eventuali problemi di digeribilità, pensando che forse il senso di pesantezza dipendesse dalla troppa pizza mangiata o dai condimenti utilizzati. Questo accadeva prima che gli impasti da pizza fossero studiati attentamente per capire quali reazioni chimico-fisiche si susseguissero al loro interno, con l’intento di migliorare la qualità e digeribilità delle pizze sfornate.
Al giorno d’oggi il livello di conoscenza generale in materia di impasti si è parecchio evoluto, con un numero crescente di persone che sanno quanto un impasto con i giusti tempi di riposo possa risultare maggiormente leggero e piacevole. tanti pizzaioli si sono dovuti adeguare a una nuova consapevolezza della clientela riguardo alla pizza Tanti pizzaioli si sono dovuti adeguare a questa nuova consapevolezza della clientela, mettendosi quindi a studiare gli impasti per migliorarne la qualità. Ovviamente non tutti seguono questa linea continuando a basarsi sul famoso postulato “la gente compra la pizza ugualmente anche se la faccio in 3 ore”. Ed è questo il motivo per cui la qualità media della pizza italiana, soprattutto di quella venduta al banco, lascia ancora parecchio a desiderare. Prima di partire sulla disamina inerente alle reali necessità di lunghissime tempistiche di lievitazione ricapitoliamo in maniera semplice alcuni concetti base.
Maturazione
Quando la farina incontra l’acqua in un impasto, gli enzimi presenti al suo interno si attivano attaccando le proteine e gli amidi e trasformandoli in aminoacidi e zuccheri più semplici. Questa fase potrebbe accadere anche senza la presenza di lievito e si chiama maturazione. Le cellule del lievito poi entrano in gioco riducendo ulteriormente gli zuccheri presenti, fino ad arrivare a ottenere gli zuccheri semplici necessari per attivare la fermentazione che produce alcol e anidride carbonica, fenomeno responsabile dell’aumento di volume dell’impasto prima e durante la cottura. Quindi possiamo immaginare l’impasto come un contenitore di elementi più o meno complessi che, tramite l’azione di enzimi e lieviti in determinati tempi, subisce delle trasformazioni interne fino alla cottura in forno. L’azione degli enzimi è subordinata a fattori come il tipo di farina utilizzata, la temperatura esterna e la quantità di acqua presente nella ricetta. Questi fattori nel loro insieme richiedono tempi precisi per completare la corretta maturazione dell’impasto stesso.
Lievitazione
Parlando del lievito, quest’ultimo ha un metabolismo influenzato dalla temperatura: il caldo ne favorisce l’attività mentre il freddo la inibisce. Se riesco a moderare l’azione del lievito controllando la temperatura esterna, posso quindi permettere all’impasto di maturare correttamente. Se non facessi in questo modo, mi ritroverei un impasto sovra-lievitato che tenderebbe a collassare prima di aver raggiunto la giusta maturazione. Quando si progettano impasti che richiedono tempi lunghi di riposo sarà quindi necessario un frigorifero a 4 gradi per rallentare la lievitazione dell’impasto al minimo e far procedere la maturazione in modo corretto.
Il mito della lunga lievitazione
Il tanto abusato e sbandierato termine lunga lievitazione è spesso abbinato ad alta digeribilità. Innanzitutto perché si scrive impasto a lunga lievitazione? A luce di quanto spiegato, non sarebbe più corretto dire a lunga maturazione? Il punto è che la clientela abituale di una pizzeria riesce a comprendere il termine lievitazione: se cambiassimo concetto non si capirebbe facilmente. L’esigenza di utilizzare tempi lunghi di maturazione è dettata in primis dal tipo d’impasto scelto, dalle tecniche di lavorazione che richiedono tempi dilatati e in ultima analisi anche dalla necessità di non sprecare l’impasto fatto, qualora non si venda ogni giorno nello stesso quantitativo.
Nel caso della pizza in teglia moderna, impasto che più di altri si presta a lunghi riposi in frigo, l’utilizzo di farine di forza che garantiscano un alto assorbimento d’acqua è legato a lunghi tempi di maturazione, proprio per l’alto tenore di proteine presente all’interno delle farine stesse. Se devo usare una farina forte che possa assorbire parecchia acqua, questa avrà una percentuale di proteine alta e queste stesse proteine influenzeranno direttamente i tempi di maturazione necessari per sfornare un prodotto fatto bene. Se non rispetto questi tempi, rischio di avere una pizza pesante, gommosa e non correttamente sviluppata in cottura. Questo purtroppo accade continuamente in tante pizzerie che non seguono i tempi di maturazione per esigenze di tempo e di vendita.
Nel caso della pizza tonda al piatto i tempi di maturazione possono scendere significativamente a seconda delle farine utilizzate oppure restare abbondanti anche a seconda delle esigenze lavorative. Alcuni impasti hanno una shelf life abbastanza lunga e possono prestarsi a un utilizzo nell’arco di diversi giorni. Se progetto un impasto con due giorni di riposo in frigo ma mi ritrovo con una minore richiesta dal banco vendita, potrò tenere lo stesso impasto ancora in frigo e riutilizzarlo, ad esempio, nel giorno successivo senza fargli perdere qualità. Ovviamente tutto questo può accadere con farine che abbiano una quantità e qualità di proteine adatta a reggere le tante ore di maturazione.
Conclusioni
Le lunghissime lievitazioni non garantiscono un prodotto fatto bene, ma quantomeno ci mettono al riparo da possibili problemi di digestione notturna post pizzata. Un bravo professionista deve quindi saper gestire e interpretare le regole di lavorazione per realizzare sempre il miglior prodotto possibile senza inflessioni qualitative.