Polenta: il pasto frugale degli antichi
La polenta è un piatto povero molto amato in tutta Italia: ne abbiamo ripercorso la storia, tenendo conto di molte specialità regionali tradizionali.
La polenta è un piatto arcaico, uno dei primi impasti cotti dell’umanità. Era certamente in uso già tra i sumeri e in Mesopotamia dove era preparata con miglio e segale. I greci utilizzavano la farina d’orzo e ne esistono infinite varianti a seconda delle materie disponibili sia in Africa che in Asia. La versione classica si prepara cuocendo farina di cereali a grana grossa in acqua bollente salata. Il termine polenta deriva dal latino puls e in epoca repubblicana era un cibo tanto comune che diede ai romani il nome di pultiferi, ossia mangiatori di polenta Al tempo si trattava di un impasto a base di macinatura di farro cotto in acqua e sale, servito con un contorno di ceci, pesciolini sotto sale (gerres o maenae), frutta, formaggi, verdure cotte e a volte carne. Similarmente è in uso ancora oggi in Puglia una polenta a base di fave secche con la quale si accompagnano verdure cotte come la cicoria. Seneca (75 d.C.) nel criticare la sregolatezza dei costumi dei suoi contemporanei, attribuiva la crisi delle doti morali alla frugalità ormai persa e invocava la parsimonia veterum, ossia il tempo in cui i latini si nutrivano soprattutto di puls. Facendo riferimento alle commedie di Accio Plauto, Seneca scrive: “Pulte, non pane, vixisse longo tempore Romanos manifestum“, ossia: di polta e non di pane vissero per lungo tempo i romani (fonte MBAC).
La più diffusa polenta oggi è quella a base di farina bramata di mais (o di grano saraceno) e possiede un aspetto compatto, di colore giallo. Scoperto il mais da Cristoforo Colombo nelle Americhe, si diffuse rapidamente in tutta Europa, poi in Africa, Medio Oriente, India e Cina; una coltivazione molto redditizia, per quanto richieda forti quantitativi di azoto, ricavabili in natura dallo stabbio del pollame. Il mais (che è molto duttile e da cui derivano anche prodotti come il fruttosio) è una delle coltivazioni attualmente più diffuse nel mondo ed è anche uno dei componenti maggiormente presenti (l’80% circa) nei prodotti alimentari negli scaffali dei supermercati.
Se volete farvi una polenta consiglio caldamente una farina nostrana e possibilmente biologica. Le farine a pasta gialla corrispondono a 3 tipologie: bramata (la più classica, rustica, macinata a pietra, ideale per la preparazione della polenta); fioretto (più fine, si utilizza anche per preparare pasta di riso o di mais, per impanare carni e pesci, nell’impasto del pane al mais o di alcuni dolci); fumetto, una farina molto fine ottenuta dalla lavorazione del mais su impianti a cilindri. La farina da polenta bianca deriva dalla macinazione della cariosside del mais, varietà maggiormente pregiata, con un tono più delicato, e copre meno il sapore dei sughi che l’accompagnano; si usa rigorosamente nel Polesine e nel Triveneto.
La ricetta della polenta prevede che si versi la farina a pioggia in un paiolo possibilmente di rame pieno di acqua bollente salata, in un rapporto di 1:4. Bisogna rimestare di continuo con un bastone di legno (detto cannella) per circa un’ora. Quando la polenta è cotta, la si versa su una tavola di legno e la si condisce con il sugo più appropriato, servendola a seconda della sua consistenza con un cucchiaio o tagliata a fette. Fredda può essere fritta, ripassata al forno con salse e intingoli o usata come il pane.
Alcune delle più note ricette che vedono protagonista la polenta sono a base di formaggi, burro, panna, come la taragna, tipica della Valtellina, la pulénta vüncia (unta) e quella cròpa. in veneto la polenta bianca si serve con le seppie; nel trentino si prepara con un'aggiunta di patate La pult invece è una polentina molle presente è presente nella zona del lago di Como, e si mangia intinta nel latte freddo. La polenta concia valdostana o grassa prevede un’aggiunta di formaggio fuso, mentre la polenta e bruscitti è un piatto di Varese condito con sugo bianco di carne. Tra le polente a pasta bianca più note c’è quella con le seppie, un piatto veneto spesso proposto nella versione al nero. A Trieste le alternative prevedono salsicce, uova strapazzate, spezzatino e prugne cotte. Nel trentino italiano si usa fare una polenta di patate cuocendo nell’acqua salata le patate a tocchetti, poi pestati aggiungendo farina di grano saraceno; verso fine cottura si possono aggiungere tocchetti di salame locale, formaggi, cipolle soffritte o le più stimolanti varianti personali.
Nel centro Italia la polenta è preparata fluida e servita su una tavola rettangolare di legno chiamata spiendola o spianatora. In Toscana la polenta è consumata, oltre che nel modo tradizionale, anche fritta o cotta in forno o sotto forma di crostini; la pattona invece è una polenta a base di farina di castagne. Nel Lazio questa specialità rappresenta un primo, con il sugo di pomodoro, spuntature di maiale e salsicce, arricchito come sempre da una abbondante manciata di pecorino grattugiato. In ciociaria il sugo è di salsiccia (per metà di fegato) e broccoletti. In Sardegna è nota anche come purenta, pulenta o farru, presente sino dal 3000 a.C., dall’età nuragica: furono i romani a imporre la coltivazione di graminacee nel Campidano.
Una nota a parte la merita la Romagna dove esiste la tradizionale polenta di Tossignano. Il primo febbraio 1622, a seguito di un lungo periodo di carestie e pestilenza, il duca Leonardo Scincia da Sermoneta, governatore di Tossignano, impose che il martedì grasso si distribuisse gratuitamente a tutta la popolazione polenta al sugo e vino in quantità; da allora la tradizione continua ogni anno. Si tratta di una polenta ricca, a pasta gialla, realizzata con una miscela di farine di mais; è servita dura, cioè in pani tradizionalmente tagliati con il filo di cotone, e condita con un ragù di carne di maiale e di manzo, abbondantemente ricoperta da formaggio Grana grattuggiato.
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