I racconti del professore: Ristorante Andreina a Loreto
Siamo tornati da Andreina, ristorante 1 stella Michelin a Loreto, nelle Marche: ecco come è andata e quali piatti abbiamo provato.
Sono passati sei anni dalla mia ultima visita da Andreina: si cominciava a parlare di brace, fuochi e fiamme nell’alta ristorazione dopo anni di assolutista infatuazione per roner, buste e cotture a bassa temperatura. E il nome di Errico Recanati, in quel di Loreto cominciava a correre di bocca in bocca. Molta acqua è passata sotto i ponti: oggi molti ristoranti, in varie forme, mettono le cotture ancestrali, sul fuoco diretto o indiretto, come fiore all’occhiello, spesso in maniera poco consapevole. Le mode si sono rovesciate. A Loreto intanto Andreina, che nel 1959 aveva aperto il locale, non c’è più, è mancata nel 2018; Errico che della nonna è stato nipote prediletto, ha proseguito la sua ricerca sulla brace, partendo sempre dal grande forno a vista, che prima troneggiava all’ingresso e ora dopo i recenti lavori di ristrutturazione si affaccia alla vista di uno chef’s table che diverrà ben presto ambito. In questi sei anni Errico è diventato punto di riferimento per molti suoi colleghi, che sono passati dalle sue cucine per apprendere le sue tecniche, chi direttamente ai fornelli, chi seduto, curioso, al suo tavolo.
Curioso, come chi scrive, che certamente cuoco non è, ma appassionato scrittore di cibo, che stavolta parte quasi dalla fine, il piccione. L’ultima volta lo mangiai classicamente e lungamente cotto alla brace, ben cotto, croccante, come tradizione richiedeva (e ancora richiede): la clientela voleva quello e veniva accontentata. Oggi quel piccione è ancora in carta, ma in compagnia di un altro, anche questo dai lunghi tempi, tra fuoco indiretto, marinatura e fiamma finale: il risultato è una carne al sangue, di morbida tenacia al morso, abbinata ad un tocco di anguilla laccata, una sfoglia di patata al lardo e fiori di sambuco. Un piatto che prosegue, partendo dalla tradizione, sulla declinazione di una classicità che guarda all’oggi. Filo conduttore che accompagna tutta la cena, anche nell’ambiente, rimesso a nuovo, con i muri in terra viva, spazi ampi tra i tavoli, sempre giocando su toni caldi e familiari.
La proposta si articola su due menu: Fumo a 120 euro, Fiamme a 140, con una spesa alla carta intorno ai 110. Il servizio è preciso e puntuale nella descrizione dei piatti, la carta soddisfa le esigenze degli amanti di convenzionale o naturale. I piatti sono frutto di un lavoro di tecnica e ricerca, ma senza perdere nulla in leggibilità e gusto: il crostolo al lardo, il burro e ciccioli e degli spiedini di pollo da mangiare in maniera compulsiva predispongono lietamente il palato. E poi si susseguono signature dish, che di stagione in stagione vengono spesso rivisitati: nell’ostrica alla brace, ad esempio, la visciola ha sostituito il lampone.
Così come la bottarga di carne (che lavoro straordinario su questa tecnica) ha preso il posto di quella di cuore a condire uno scampo carnoso insieme a mango e uova di trota. Si susseguono sempre nel matrimonio terra/mare la testina che si tuffa (anzi si perde come recita il menu) nella baia di Portonovo, maritandosi con i moscioli e la lingua che, nel piatto meno convincente, viene messa in un angolo da pesche e vongole. E ancora la magnifica cacio e sette pepi, di cui ormai si moltiplicano i tentativi di imitazione.
Ma forse la cosa che più ci ha colpito è la vena vegetale, sempre legata alla brace naturalmente: la cipolla di Pedaso, pura espressione territoriale, da mangiare nella sua interezza fa diventare contorno i nobili rognoncini di coniglio; l’asparago al cubo rende vettoriale in diverse consistenze il sapore del vegetale; fungo e bottarga di milza è, invece, un piatto terroso, radicale, profondo. E a chiudere, al momento del dessert, il pomodoro, prodotto che Recanati usa spesso nella sue preparazioni, anche a fine pasto.
Qui il pomodoro, dopo una leggera cottura, viene laccato con uno sciroppo, grigliato, servito con un trito di panko ed erbe, un sorbetto di basilico, menta, erba cedrina e a chiudere acqua di pomodoro e di fragole: un trionfo di dolcezze e acidità, l’esaltazione del pomodoro, della stagionalità in un dessert. L’essenza della cucina di Andreina, oggi una delle migliori, e personali, dello stivale.