Rece Rock: Mabe a Roma
Siamo stati da Mabe, ristorante di cucina spontanea a Roma, nel quartiere di Centocelle: ecco la nostra singolare esperienza a cena.
Mabe (piazza dei Mirti, 19) a Roma, con i suoi 332 metri di distanza da casa mia e 4 minuti di camminata a passo di bradipo zoppo, è da considerarsi il ristorante in assoluto più vicino al mio portone. l'insegna del ristorante recita cucina spontanea Nonostante questo, ci ho messo 2 anni a metterci finalmente piede. Roba che il movimento dei continenti, nello stesso lasso di tempo, è stato più veloce. Probabilmente era l’insegna cucina spontanea che mi lasciava perplesso e, non avendo assolutamente idea di cosa fosse, si prestava al mio più becero sarcasmo. Volendomi togliere il dubbio, sono andato su Google e scopro che la cucina spontanea dovrebbe essere composta prevalentemente da erbe e piante selvatiche che nascono appunto spontaneamente. Quindi mia nonna, che raccoglieva al prato la cicoria e la mentuccia, mi ha proposto in casa della pesantissima cucina spontanea ripassata in padella per anni! E io ne ero inconsapevole!
– Il dubbio resta e, visto che mia nonna non c’è più da un pezzo, entro in questo piccolo ristorante: il breve corridoio all’aperto porta a un piccolo slargo che sembra un caratteristico scorcio di Napoli. Mancano due panni stesi e sarebbe perfetto. Molto carino e pittoresco.
– Alessio, il simpatico maître con fisico alla Yuri Chechi, si presenta e mi fa subito un paio di supercazzole enologiche che faccio finta di capire. Dopo una falsa riflessione, scelgo La Monella, una barbera del Monferrato frizzante. Non perché il vino frizzante mi faccia impazzire, ma perché mi ricorda il titolo di un film di Tinto Brass (si, quello con la locandina che più efficacemente di Pantani ha convertito al ciclismo metà della popolazione italiana). La scelta si rivelerà comunque azzeccata e le bottiglie scolate saranno 2.
– Come antipasto mi portano una spettacolare cheesecake salata al salmone affumicato con cremoso al pepe bianco su crumble di taralli e salsa di lamponi. Mi sento proprio un fico a usare la parola crumble di cui, grazie ad Agrodolce, conosco finalmente il significato.
– Come primo piatto opto per una generosa porzione di Tagliolini alla crudaiola di gamberi con stracciatella e briciole di pane. E pensare che io le briciole di pane le butto sempre fuori dal balcone quando sgrullo la tovaglia. Che spreco. Per mostrare il mio assoluto gradimento, finisco per fare la scarpetta col pane fino a grattare via le decorazioni dipinte sul piatto.
– Vedendomi affamato come un piranha, mi portano anche dei clamorosi tortelloni al nero di seppia. Sul viso ho stampato un magnifico sorriso beato e beota, sebbene sia color bitume Anas per colpa del maledettissimo nero di seppia.
– Lo special del giorno è il galletto speziato con peperoni alla menta, olive taggiasche e salvia in tempura. Buono e tenerissimo, ma è la tempura a esaltarmi. Ho una pianta di salvia sul balcone di casa e, quando tornerò, la metterò in pastella con tutto il vaso di coccio.
– Per darmi il colpo di grazia prendo un tonno scottato con cime di rapa, salsa agro-piccante e arachidi salate. A parte le cime di rapa, buonissime e forse anche spontanee, il piatto è ordinario. O forse sono le mie papille gustative che ormai chiedono pietà.
– Sono sazio e in apnea, sto per prenotare una seduta di camera iperbarica per ossigenarmi, ma con un colpo di coda decido di rimandare di qualche ora e provare il dolce del giorno: il Bounty artigianale. Una scelta kamikaze, visto che odio quello commerciale. Questo, impreziosito dalla cioccolata fondente e da cubetti di gelatine alla menta, è ovviamente molto più gustoso, anche se passerò la notte a cercare di togliermi l’insidiosissima granella di cocco dai denti.
– Prima di andarmene, sicuramente aiutato dalle due grappe barricate finali, chiedo allo staff cosa sia la cucina spontanea: erano più perplessi di me. Interviene prontamente Alessio e mi spiega che è “creata al momento e dettata dalla stagionalità delle materie prime“. Gli rispondo commosso che mi ricorda mia nonna e me ne vado, attraversando lo scorcio che sembra Napoli e rimanendo deluso dal fatto che nessuno cerchi di vendermi dei calzini o dei cornetti portafortuna. Mi avvio verso casa con un’andatura da gatto a cui hanno appena tagliato i baffi dando la colpa alla Monella e con l’improvvisa voglia di vedere un film di Tinto Brass.