I racconti del Professore: Ristorante Charleston a Palermo
Siamo stati a provare il ristorante Charleston, storica insegna palermitana, e a conoscere il nuovo chef: ecco come è andata.
Molti ristoranti che hanno fatto la storia, non solo gastronomica, ma anche culturale e sociale del nostro paese a partire dagli anni ‘60, con un legame molto forte ai luoghi di appartenenza, oggi non ci sono più oppure vivono un presente ingiallito dai ricordi: pochi sono quelli che ancora esistono e resistono nel proporre la loro idea di accoglienza e cucina. Uno di questi è il Charleston, nato a Palermo nel 1967, oggi sito a Mondello, la spiaggia dei palermitani, che per anni ne era stata la sede estiva. I fondatori, Nino Glorioso e Angelo Ingrao, ne fecero subito il posto principe della buona borghesia palermitana e di ospiti di rango nazionali e internazionali, dalla politica alla Chiesa, dalla cultura allo spettacolo.
Nel 1973 arriva la prima stella Michelin, l’anno dopo la seconda, condivisa al tempo con solo altri otto ristoranti in Italia. La cucina univa la tradizione siciliana alla grande classicità dell’hôtellerie di scuola francese. Sfogliare i menu dell’epoca, contenuti nelle due pubblicazioni edite per il decennale e per il cinquantennale del Charleston, è un misto di stupore e piacere: accanto agli involtini di spada e la parmigiana di melanzane si trovano gli asparagi alla Bismarck, il risotto alla zarina, il filetto di sogliola Walewska, la suprema di pollo à la Maréchale, le pappardelle Diana, fino ai signature firmati Charleston, dal tagliolino fresco alle crêpes (e, beata ignoranza, di alcuni di questi piatti non conoscevo l’esistenza). E un servizio di quelli oggi quasi impossibile da replicare tra lampade e guéridon, capitanati da un uomo di sala di altissimo livello, Carlo Hassan, ancora oggi portatore della memoria storica del locale. Nel corso degli anni varie vicende si sono alternate, le stelle sono andate via, si sono succeduti vari chef, la sede storica palermitana è stata chiusa, è sopravvissuta quella di Mondello, che Mariella Glorioso, figlia di Nino ha voluto mantenere, in squadra e tempi, con i crismi, lo stile e l’eleganza del Charleston, a partire da cimeli unici, arredamenti, bottiglie, persino la posaterie è, nei limiti del possibile, quella dello storico locale.
Ma bisogna rinnovarsi: e allora quest’anno è arrivato ai fornelli un giovane venticinquenne palermitano, Gaetano Verde, rientrato
in Sicilia dopo formative esperienze italiane, Taverna Estia, e straniere, Ledbury, Atelier Robuchon, L’Ambroisie di Bernard Pacaud. Esperienze che, oltre alla tecnica, gli hanno fornito lucidità e capacità interpretativa. Verde ha subito capito dove andava a cucinare e cosa richiedeva impostare e realizzare il menu di un posto come il Charleston. Piatti che richiamassero la storia e la classicità del ristorante, modulati nella contemporaneità. E dunque troverete, simili ma alleggeriti, classici imprescindibili come gli involtini di spada e la parmigiana, insieme a piatti che modulano passato e presente.
La ventresca di tonno, farinello, limone al sale e jus di manzo è una delle migliori versioni di un vitello tonnato nel 2022; i ravioli di triglia, mandorle fresche e in latte e quelli di maialino nero dei Nebrodi con salsa al Marsala Vergine (buonissimi) sono precise composizioni di sicilianità. Il San Pietro con zucchine verde e gialle con lardo e menta, su toni appena minori e il piccione
con le albicocche, di grande pulizia gustativa, riflettono sia le esperienze francesi dello chef sia la storia del Charleston. Poi ci sono momenti in cui Verdi sa innestare marce differenti: il carpaccio di pomodori, olio alla lavanda, portulaca e aceto di mele forse di ricerca troppo stilosa; il grintoso, e formidabile, millefoglie di lattuga alla brace, sesamo e cicoria e per finire, il dolce più buono assaggiato ultimamente: gelato al pane, arancia candita, alga nori e sesamo, imposto al momento del predessert che il
cliente tenderebbe a non prenderlo. E qui bisogna fare il nome della brava, anche lei giovane, pasticcera, Mathilde Bonnehon, che sa giocare benissimo anche sul classico del limone, madeleine croccante e meringa. In menu ci sono due degustazioni a 75 euro, si spende poco più alla carta. Il servizio è affidabile, preciso, mentre la carta dei vini non è quella dei tempi d’antan (e sarebbe difficile eguagliarla) ma si trovano bottiglie interessanti a buon prezzo.
In questo intersecarsi di passato e presente, è però già ben definito il futuro: tra fine anno e inizio 2023, il Charleston tornerà nella sua sede originaria di Palermo, a Piazza Ungheria e ci sarà non solo il ristorante, con questa squadra giovane e affidabile, ma anche un lounge bar e delle camere, a ricostruire l’ormai eterno stile liberty dell’insegna. E gli ormai prossimi sessanta anni potranno essere festeggiati
con il ritorno a casa.