Giallo oro: il risotto alla milanese
Il risotto alla milanese è un piatto simbolo della tradizione gastronomica meneghina, considerato spesso il re dei risotti: ve ne raccontiamo la storia.
Nel primo articolo scritto per Agrodolce vi ho raccontato di come uno chef di batteria, P.G., Milanese DOP, dopo anni in giro per mezzo mondo, mi avesse introdotto al mondo del risotto, il risotto alla milanese autentico è il re dei risotti specificando come la differenza tra un cuoco e un cuoco bravo italiano fosse una sola: come cuoce il risotto. Secondo P.G. il risotto è infatti l’unico piatto che all’estero davvero non riescono a fare. Durante quell’esperienza, perso nel Vercellese ho mangiato con il gusto della pacciada (una mangiata genuina, tra amici); nel Pavese avevo incontrato Soldati a fumarsi il suo sigaro toscano, tra le rane del delta del Po; errante nella piana di Lentini in Sicilia vi ho raccontato dell’arancino; in Sardegna è stata la volta del risotto di mare e infinte in Toscana è toccato al riso venere, ma ho sempre evitato il vero zoccolo duro: come si fa il re dei risotti, il risotto alla milanese.
Nel 1829, durante l’occupazione Austriaca (o se preferite sotto l’Impero Asburgico), esce un libro, il Nuovo Cuoco Milanese scritto da Giovanni Felice Luraschi: “In questo libro si riconoscerà l’economia delle ricette, colle quali si faranno con notabile risparmio quei pranzi, che colle pratiche usate da altri Cuochi riescono assai dispendiose, e senza dilettar molto il gusto dei convitati. Quindi in pratica si proverà, che in queste ricette o regole di ben cucinare non si adoperano che cose usuali ed innocenti, onde le vivande saranno insieme gustose e sanissime”. ha il colore dell'oro, simbolo voluto o inconscio della ricchezza e del potere della borghesia milanese È un libro di ricette di cucina di casa, economiche e domestiche e principi di igiene alimentare, scritto da un cuoco su basi dell’epoca, con una eccellente infarinatura del bel mondo e della tavola di casa. Tra le ricette quella che più rappresenta la ricca tavola di Milano è certamente il riso giallo o riso allo zafferano o anche meglio detto alla milanese. Qual è l’artificio che rende unico questo piatto meneghino? La ricchezza, il potere che si manifesta mettendo a tavola il colore dell’oro, tanto da poter essere accostato all’altrettanto costoso zafferano in una ricetta di Gualtiero Marchesi. È il segno di una borghesia che non teme rivali, la operosa e parca Milano; segna la sua unicità appropriandosi del meglio della cultura e della koinè (linguaggio) alimentare. Un sapore meraviglioso arricchito dalle cervella e dall’ossobuco: una pietanza da re.
La genesi del risotto alla milanese è improbabile sino al XVIII secolo. I Mori arrivarono in Sicilia e nel sud della Spagna nel secolo IX d.C. e introdussero il riso originario, varietà China, coltivato inizialmente sotto Federico II, che si dice andasse ghiotto di arancini. Il riso assume un aspetto salubre e medicinale con la Schola salernitana e i trattati di Avicenna e Galeno (rispettivamente un filosofo e medico musulmano e un medico di Pergamo); da qui si è diffuso in tutto il napoletano (a cui dobbiamo la nascità del sartù). Grazie ai contatti tra gli Aragonesi e gli Sforza e alla presenza di terreni acquitrinosi, il riso arrivò nel Vercellese e nella porzione di pianura Padana appartenente al Ducato di Milano. A Verona invece si diede vita a nuovi incroci con la classe japonica e nacquero il Carnaroli e il Vialone; i risi Baldo, Ri.be e Maratelli sono invece incroci.
Nei ricettari dal 1300 fino al 1800 il riso conosce una sola tecnica di cottura: lesso in acqua. La prima innovazione è testimoniata da un ricettario del 1779, Il Cuoco Maceratese di Antonio Nebbia, dove il riso viene per la prima volta soffritto in poco burro e bagnato col brodo. Felice Luraschi, con il suo ricettario del 1829, completa il nome del piatto, trasformandolo in Risotto alla Milanese Giallo. Il procedimento prevede che il riso, completo di grasso, midollo di bue, zafferano, noce moscata e brodo, sia alla fine insaporito con del formaggio grattugiato.
Vi propongo la ricetta di Giovanni Nelli, tratta da Il Re dei Cuochi (1875). Gli ingredienti: riso Vialone nano, cipolla, burro, formaggio grana, midollo, vino bianco, zafferano, brodo, sale: la ricetta originale prevede l'utilizzo di un buon midollo di manzo “Tritate la cipolla che farete soffriggere con il burro il midollo di manzo, diluite con poco brodo, passate allo staccio e mettete il tutto nella padella con il riso e lo zafferano. Tramenatelo alquanto al fuoco, fatelo cuocere in buon brodo, rimettendovene man mano che si asciuga; quando è quasi cotto aggiungetevi il formaggio grattugiato. Ad alcuni piace dopo averlo fatto rosolare un pochino mettervi il vino bianco; altri al momento di ritirarlo dal fuoco aggiungono un pezzetto di burro fresco che dovrà essere diligentemente sciolto. È importante che la bollitura sia spinta a fuoco ardente”. Lo chef Claudio Sadler del ristorante Sadler di Milano ne realizza invece una versione da asporto: “Io parto da un buon Carnaroli del Pavese e da scalogno, cuocio in un brodo vegetale, aggiungo zafferano italiano in pistillo, alla fine manteco con un poco di Salvia, un formaggio caratteristico del Cremasco, e da tiepido lo avvolgo nella pasta brick, una sottile pasta sfoglia che si usa per gli involtini primavera. Si taglia a tronchetti, poi si frigge. Ecco il risotto da passeggio”.
Il risotto è un piatto borghese fatto di rigaglie e zafferano; è un piatto ricco e semplice al tempo stesso. Io personalmente lo abbino con l’ossobuco condito con timo e buccia di limone caramellata. Vi invito a provarlo. E a farmi sapere.
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