Sai cos’è la cubbàita?
Fonte immagine: Visit Vigata
Cos’è la cubbàita, il dolce di sesamo tradizionale siciliano? Scopriamo insieme le sue origini e come prepararlo.
Festività natalizie, tempo di cubbàita. Cos’è? Una specialità, anzi una delizia siciliana che manda in visibilio i più golosi. Molto diffusa anche in Calabria e nelle altre regioni del Sud, decisamente meno al Nord. Si tratta di un croccante preparato con miele, mandorle e zucchero; l’ingrediente principale, però, è il sesamo.
Le origini e le diverse varianti
Definire antiche le origini della cubbàita suona quasi riduttivo: documenti testimoniano l’esistenza di questo dolce già all’epoca del dominio islamico in Sicilia. Considerando che lo sbarco a Mazara del Vallo risale all’827 d.C., i conti sono presto fatti. Il nome è una conferma, cubbàita deriva dal termine arabo qubbiat, traducibile in mandorlato. Nella Sicilia orientale questa specialità viene chiamata anche giuggiulèna, parola invece dialettale che riconduce all’utilizzo dei semi di sesamo. Si serve tagliata a forma di rombi oppure rettangoli. La versione tradizionale, nonché più semplice, è ormai affiancata da numerose altre: citiamo la cubbàita ricoperta di confetti colorati e le varianti a base di noci, nocciole e pistacchi. Aggiungiamo che sì, nella maggior parte dei casi si consuma nel periodo natalizio, ma a Palermo e dintorni è invece il simbolo delle festività pasquali e delle celebrazioni in onore della patrona Santa Rosalia.
Come prepararla in casa
Preparare in casa la cubbàita è un’impresa tutt’altro che ardua. Occorrono 500 g. di semi di sesamo, 300 g. di miele, 150 g. di zucchero e 150 g. di mandorle tostate. Si comincia facendo sciogliere il miele in un tegame a fiamma bassa, dopo di che si aggiunge lo zucchero mescolando di continuo con un cucchiaio di legno. Quando il composto sta per bollire, si uniscono i semi di sesamo e le mandorle (intere o spezzettate) e si continua la cottura, sempre su fuoco basso, fino a quando la miscela assume un colore ambrato e risulta perfettamente omogenea. Quindi la si versa su una teglia ricoperta con carta da forno oppure unta con un po’ d’olio, per poi lavorarla con una spatola: lo spessore finale dev’essere di circa 10 mm. Dopo aver ricavato dei rombi o dei rettangoli, si lascia raffreddare e indurire a temperatura ambiente.
L’elogio della cubbaita
Andrea Camilleri andava pazzo per questo dolce della sua terra. Diverso tempo fa, su un libretto promozionale dell’Antico Torronificio Nisseno, è stato pubblicato il suo Elogio della cubaita, in cui fra l’altro si legge: “È semplice e forte, un dolce da guerrieri, mentre il torrone inclina alla raffinatezza languorosa. Amo la cubaita che ‘ci vuole il martello a romperla’, come scrive Sciascia. A fatica riesci coi denti a staccarne un pezzetto e non lo devi aggredire subito, lo devi lasciare ad ammorbidirsi un pochino tra lingua e palato, devi quasi persuaderlo con amorevolezza ad essere mangiato”. E ancora: “La cubaita ti obbliga a una su particolare concezione del tempo, ha bisogno dei tempi lunghi del viaggio per mare o per treno. Non si concilia con l’aereo, con la fretta. Ti invita alla meditazione ruminante. Rende più dolce e sopportabile l’introspezione che non sempre è un esercizio piacevole”.