Signature dishes: 25 chef raccontati con un piatto icona
I signature dishes sono piatti iconici, tanto apprezzati e riconoscibili da legarsi per sempre a chi li ha inventati: ve ne raccontiamo 25 tra i più noti.
A volte la cucina ricorda la musica: ci sono melodie che sembrano essere nate da sole, ricette le cui origini si perdono nella tradizione; e ce ne sono altre che invece sono firmate con nome e cognome, anche se non tutti sanno riconoscere la firma del compositore o dello chef. Nelle cucine dei grandi ristoranti si creano nuovi piatti in continuazione: alcuni hanno successo presso la clientela o la critica, rimangono in carta per anni, entrano nell’immaginario collettivo. Diventano signature dishes, piatti iconici che non raccontano del tutto la creatività dello chef ma che comunque ne scattano un’istantanea. Se i grandi chef sono simili a compositori, allora il riso oro e zafferano sta a Gualtiero Marchesi proprio come la Tosca sta a Giacomo Puccini.
- Alcuni dei piatti creati da Gualtiero Marchesi sono infatti fra i signature dishes più famosi in Italia e al mondo. Il primo è senza dubbio il riso oro e zafferano, di cui lo stesso chef ha dichiarato: “È il piatto che meglio riproduce il mio concetto di bellezza. Essenziale, senza fronzoli” – semplicemente un risotto preparato a regola d’arte. Il risotto allo zafferano, secondo Marchesi, doveva avere lo stesso colore della Madonnina, che dal Duomo di Milano guardava al suo ristorante e alla nascita della nuova cucina italiana. Il secondo piatto iconico dello chef è forse l’altrettanto semplice raviolo aperto: due strati di sfoglia, uno al naturale e uno colorato di verde per l’aggiunta di spinaci, che avvolgono un ripieno di capesante saltate nel burro e bagnate con vino bianco e succo di zenzero.
- Michel Bras è stato invece l’ideatore di un signature dish che ha avuto tanto successo da dimenticare di avere un creatore. Lo chef di Laguiole inventò infatti nel 1981 il coulant au chocolat, ossia il tortino al cioccolato dal cuore caldo. Bras lo ha definito “una colata di lava fondente al primo colpo di cucchiaino. Uno spettacolo affascinante, un’estasi dei sensi”.
- Joël Robuchon, nella sua lunga carriera e nella decina di ristoranti stellati a Parigi, Londra, Tokyo, Hong Kong, è diventato famoso non per aver inventato una nuova ricetta, ma per aver preparato incredibilmente bene un piatto noto a tutti e troppo spesso sottovalutato: il purè di patate. Robuchon ha rivelato che per una preparazione a regola d’arte le patate vanno cotte con la buccia, montate energicamente con latte e burro in abbondanza, passate persino al setaccio.
- La cucina francese e quella italiana molto devono anche a Paul Bocuse. Il suo piatto iconico è la zuppa al tartufo, preparata con un brodo denso di pollo, verdure e tartufi neri, arricchita dal foie gras ma soprattutto cotta in forno con una copertura di pasta sfoglia, che custodisce calore e aromi fino a quando non è rotta con il cucchiaio.
- Sono molti i grandi chef noti non per le invenzioni ma per le interpretazioni. Per esempio, il piatto più noto di Gordon Ramsay è il filetto alla Wellington, preparato alla perfezione nei suoi moltissimi ristoranti e proposto più volte anche nelle trasmissioni televisive. Il segreto forse è nel manzo di prima qualità, oppure nel prosciutto di Parma utilizzato per avvolgere il filetto prima del rivestimento di sfoglia.
- Nadia Santini e la sua famiglia, che ancora conduce il ristorante Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio, sono invece noti per i tortelli di zucca. La base è quella della tradizione, con zucca, amaretti, mostarda e spezie, la pasta tirata a mano, il condimento semplice di burro e parmigiano. L’abilità è nel trovare il difficile e perfetto equilibrio fra dolce e salato.
- Aimo Moroni, nel 1965, creò il suo spaghetto con cipollotto – e il piatto si è rivelato tanto attuale da essere ancora nel menu del Luogo di Aimo e Nadia, a Milano, anche se nella versione aggiornata da Fabio Pisani e Alessandro Negrini. Per prepararlo si utilizzano spaghettoni di grano duro, cipollotto di Tropea, pomodorini, peperoncino fresco, aglio e alloro. Si completa con il timo, o con il prezzemolo nella versione dei giovani chef.
- Sapori classici sono anche quelli dei fagottelli alla carbonara di Heinz Beck. L’idea di successo è stata quella di inserire il condimento all’interno della pasta, anziché all’esterno: il risultato è un’esplosione di gusto, esaltata dalla pasta sottile resa ancora più saporita dalla cottura nel fondo bruno.
- Anche Riccardo Camanini, chef del Lido 84 a Gardone Riviera, ha scelto di concentrare i sapori in un involucro sigillato. Oltre agli intramontabili Spaghettoni al burro e lievito di birra, un altro dei suoi signature dish è la pasta cacio e pepe nella vescica di maiale. La pasta è cotta direttamente all’interno della vescica – già essiccata e reidratata per molti giorni in acqua fredda – e la mantecatura avviene sempre al suo interno, con lo scuotimento energico della pasta, del cacio e del pepe.
- Davide Scabin, nel 1997, ha invece creato un piatto rivoluzionario e fantascientifico, servito ancora oggi al Combal.Zero di Rivoli: il cyber egg. Lo chef, ammirando la perfezione dell’uovo e del suo guscio, decise di ricrearla in maniera artificiale: ancora oggi mescola caviale, scalogno, tuorlo d’uovo, pepe e vodka e li avvolge in una pellicola, lasciando che i clienti aprano il guscio con un bisturi da chirurgo.
- Secondo il gastronomo francese Grimod de la Reynière, “l’uovo sta alla cucina come gli articoli al discorso”: un ruolo da comprimario indispensabile, ma non da protagonista. Eppure sono molti gli chef che hanno deciso di parlare proprio di uova: il secondo, nel nostro elenco, è Carlo Cracco, diventato famoso per il suo tuorlo marinato. Il gioco sta nel cambiare la consistenza del tuorlo grazie a una lunga marinatura con sale, zucchero e purea di fagioli, nel renderlo tanto solido da poter essere affettato o grattugiato, e quindi utilizzato in un’infinità di nuove ricette.
- Il terzo chef dedicatosi all’uovo è Alain Passard, la foto di copertina. La sua creazione è lo chaud-froid d’oeuf, l’uovo caldo-freddo: il contrasto è fra la temperatura del tuorlo e quella dell’albume, che viene in realtà sostituito prima della cottura dalla panna all’aceto di sherry. Un altro signature dish dello chef è invece un dolce: il bouquet di rose è infatti una semplice torta di mele a cui è stato aggiunto, secondo lo chef, “un po’ di movimento”. La polpa della mela si arrotola infatti su se stessa, fino a ricordare, per l’appunto, la forma delle rose.
- La creazione più famosa di Massimo Bottura è invece un piatto che sembra un dolce e che però è salato: il croccantino di foie gras, che si presenta come un gelato su uno stecco. In realtà, sotto lo strato croccante di mandorle e nocciole si nasconde un cuore soffice di aceto balsamico avvolto nella morbidezza vellutata del fegato d’anatra.
- Il fegato e il camuffamento sono protagonisti anche di una delle creazioni più note di Heston Blumenthal: il meat fruit. L’aspetto è quello di un mandarino – ma il contenuto è un parfait di fegato di pollo, rivestito da gelatina di agrumi. Il piatto è completato da un’onesta fetta di pane tostato, complemento semplice ma fondamentale per spalmare il parfait ed esaltarne il gusto.
- Pane e carne sono gli ingredienti anche del pork bun di David Chang. Da più di quindici anni, i clienti visitano il Momofuku di New York con la dichiarata intenzione di mangiare niente più che un panino di maiale. Gli ingredienti sono semplici: bao cotto al vapore, pancia di maiale, salsa housin, cetrioli e scalogno. Secondo lo chef, il successo è una questione di consistenza: il panino deve essere soffice al punto giusto e la carne deve contenere un’esatta quantità di grasso.
- Sempre a New York, all’Eleven Madison Park, dal 2006 Daniel Humm serve la sua anatra con daikon e prugne. La ricetta è segreta: si sa solo che l’anatra è marinata, cotta al forno e glassata, e che il risultato, oltre a essere delizioso, è elegantissimo.
- Anche Thomas Keller, oggi chef di The French Laundry in California, ha avuto l’idea per il suo signature dish a New York: poco prima di trasferirsi sull’altra sponda del continente, Keller ha infatti ideato i salmon cornets, coni di salmone. L’obiettivo era quello di stupire il pubblico: e la tartare di salmone con créme fraîche di cipolla rossa, da mangiare a mo’ di gelato all’interno di un cono croccante, è riuscita nell’impresa. Più classico l’aspetto di oyster and pearls, ostrica e perle: le perle sono quelle del caviale, adagiate su uno zabaione con tapioca.
- René Redzepi è noto invece per aver esplorato nuovi reami del gusto – in particolare, per aver portato nell’alta cucina gli insetti, i muschi e i licheni della natura nordica. I gamberi vivi con formiche sono uno dei piatti più noti: si tratta in realtà di una reinterpretazione dello botan ebi, il sushi di gamberi. I gamberi sono spellati ancora vivi, poco istanti prima di essere portati a tavola; le code sono condite con le formiche per aggiungere una nota di acidità.
- Sapori nordici anche per lo chef svedese Magnus Nilsson: ma in questo caso si tratta delle capesante cotte sul fuoco di ginepro. Velocissima la preparazione: le capesante vanno scottate sulla brace, a cui sono stati aggiunti rametti di ginepro, e servite in tavola in meno di 90 secondi.
- Il signature dish di Joan Roca è invece l’astice con parmentier di patate e funghi. Il piatto è classico per più di un motivo: riprende la preparazione delle patate inventata da Antoine Parmentier, lo scienziato che per primo introdusse i tuberi americani nei menu europei, ed è nel menu di El Celler de Can Roca, a Girona, da più di 30 anni.
- Quique Dacosta, ad Alicante, ha invece interpretato il mare in maniera innovativa: la sua creazione più nota e apprezzata è Guggenheim Bilbao, a base di ostriche e di titanio. Il piatto riprende l’architettura del museo Guggenheim di Bilbao, disegnato da Frank Gehry, e ci aggiunge il contrasto fra la sfoglia metallica (una lega di argento e titanio) e la succulenta ostrica intiepidita sulla brace.
- Parlando di chef innovativi, impossibile non menzionare Ferran Adrià. Il suo ristorante elBulli, aperto sino al 2010, è stato uno dei centri in cui più si è sperimentata la cucina molecolare. Il suo signature dish sono le olive sferiche, o sferificate: una preparazione complessa che ricrea ed esalta forma e gusto dell’oliva, donandole una nuova consistenza e la possibilità di essere mangiata in un solo boccone.
- Consistenze particolari sono anche quelle di Lick it up, di Gaggan Anand. Lo chef ha infatti creato un piatto composto da diversi strati di funghi, piselli e tartufi, disposti l’uno sopra l’altro e serviti senza posate. Il modo giusto per gustare il piatto è leccarlo, con l’accompagnamento musicale dell’omonima canzone dei Kiss.
- Jirō Ono è noto invece per il suo sushi, servito in un ristorante di Tokyo tanto esclusivo da essere stato escluso dall’ultima edizione della guida Michelin. Il sushi di Jiro è preparato in modo tradizionale: si taglia il pesce, si fanno le polpettine di riso bollito, si aggiunge il wasabi, si assembla il nigiri, si aggiungono le guarnizioni. Ma preparare un sushi a regola d’arte è impresa degna di un grandissimo chef.
- Dominique Ansel è infine riuscito a compiere l’ultimo passo immaginabile per un signature dish: il brevetto. Il suo cronut, servito alla Dominique Ansel Bakery di New York, assomiglia a una ciambella ma è composto da diversi strati di sfoglia, che ricorda quella dei croissant; la ricetta è però segreta e brevettata, così che la paternità del dolce non possa essere messa in dubbio.
- IMMAGINE
- Wine Dharma
- Cucine d'Italia
- A Life Worth Eating
- A. Mauri Italian Gourmet