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In spiaggia: 6 Epic Fail di quando si mangia al mare

di Walter Farnetti 25 Maggio 2017 11:23

C’è chi il mare lo vede solo d’inverno e disperato, come la Bertè quando non riesce nemmeno a trovare un caffè. Queste persone squisite d’estate spariscono dalla faccia della terra: si trincerano in bunker segreti col solenne timore che qualcuno li inviti. Andare al mare, d’estate, significa misurarsi con spaventose nudità, costumi a fantasie floreali,

C’è chi il mare lo vede solo d’inverno e disperato, come la Bertè quando non riesce nemmeno a trovare un caffè. Queste persone squisite d’estate spariscono dalla faccia della terra: si trincerano in bunker segreti col solenne timore che qualcuno li inviti. sagge ragioni per cui chi tiene a se stesso d'estate scompare e non mangia al mare Andare al mare, d’estate, significa misurarsi con spaventose nudità, costumi a fantasie floreali, cappelli di paglia comprati alle bancarelle; nonostante le brezze, sempre ci si ritrova avvolti in odori misti di crema solare, seppie morte e sudore. Si leggono solo libri brutti (le classiche letture da mare), continuamente sfogliati dai venti e aggrediti dalle sabbie. Ci si misura con oggetti degni delle scene più sottilmente inquietanti di Twin Peaks: ombrelloni (a righe), spiaggine (di plastica rossa) e, soprattutto, la borsa-frigo. Se non sei Jovanotti (viziosamente ossessionato da quanto l’estate sia bella, pura e magica), il mare è una sorta di mondo capovolto in cui tutto si deteriora, a partire dalle nostre anime. A ogni tipo di considerazione bisogna poi sommessamente aggiungere che un conto è la Sardegna, un conto è Santa Marinella. Ecco delle sagge ragioni per cui chi tiene a se stesso d’estate scompare: 6 epic fail di quando si mangia al mare.

  1. acquaL'acqua lessa. A casa l’hai messa in freezer, in macchina hai usato tutte le borse-frigo del campeggio, vicino all’ombrellone hai scavato una buca, ma a dispetto dei migliori interventi da giovane marmotta l’acqua si scalda. Al mare, quel che bevi è sempre ed esclusivamente scolo dei fagiolini lessi, con sentori di plastica bruciata e una eterna malinconia. E così l’anguria diventa pappa, il melone marmellata vecchia, la birra… per pudore non ne parliamo nemmeno.
  2. insalata di riso mullerNon resistere al richiamo dell'insalata di riso. Nonostante tutti i suoi limiti (si tratta comunque di un pappone con wurstel crudi e pezzi di cetriolo), l’insalata di riso mantiene una sua ieratica festosità; l’acquolina permane finché non ti arriva nel piatto la sabbia a cucchiaiate e scambi la crema solare con la maionese. Per sfuggire a queste sventure non basta sostituire il riso con l’orzo, nascondere tutto dentro enormi panini, usare rotoli incommensurabili di alluminio. Quel che serve per risolvere la situazione è un tavolo, una casa con un tetto, posate d’acciaio e una vita vera libera dalle convenzioni.
  3. bar spiaggiaAvventurarsi ai bar degli stabilimenti. Cerchi rifugio nel bar dello stabilimento; la colf che è in te è già schifata all’idea che molti avventori camminino scalzi su pavimenti intrisi di acqua di mare, sabbie, briciole di cornetto e, speri, alghe. Superato lo shock trovi la forza per comprare un’insalata (che, siccome sei al bar dello stabilimento, ti costa uno sproposito), un tramezzino (che, siccome sei al bar dello stabilimento, è fatto col primo pancarré inventato dall’uomo), un succo di frutta (che, siccome sei al bar dello stabilimento, ricorda le bottiglie vecchie e calde che si vincono alle pesche di beneficenza). Paghi con un assegno e torni mesto al tuo asciugamano, dove la sabbia tornerà inesorabile nell’insalata, nel tramezzino preistorico, nel succo.
  4. frutta spiaggiaMangiare un frutto intero in riva al mare. Se a Fatima ti hanno ascoltato e qualcosa comincia miracolosamente a girare nel verso giusto, l’uomo del cocco non passa, così per lo spuntino ti dedichi alla tua preziosa pesca, acquistata nel retro di un camion lungo la strada. Sarebbe anche buona se non ti colasse fino al gomito, e da lì fino al cuore; indegnamente appiccicoso, subisci l’effetto doppia panatura con un’ulteriore aggressione di sabbia e sale.
  5. cocco-belloComprare il cocco. “Vuoi il braccialetto/vuoi il foulard/vuoi gli occhiali/vuoi l’asciugamano/vuoi il tatuaggio?”, che non c’è più differenza tra la spiaggia e il mercato in piazza del giovedì mattina. Ma quando il sole scotta e tu hai già invocato tutti i santi, un suono inequivocabile come le trombe del Giudizio: Cocco! E il cocco sarà pure bello e fresco, ma te lo sciacquano con le pinze nell’acqua usata dei lavavetro del parcheggio. E tu, sapendolo, lo compri. E tu, sapendolo, lo mangi. E se il signore del cocco ripassa, lo ricompri. E lo rimangi.