Stelle Michelin 2023: uno sguardo alla situazione attuale | L’editoriale
Alcune considerazioni al Day After della cerimonia di rivelazione delle nuove Stelle della Guida Michelin Italia.
La Michelin istituzione, quella arroccata nella stanza dei bottoni dove si decide il futuro dei ristoranti italiani, non esiste più. Al suo posto troviamo un’azienda evoluta o, se vogliamo, adeguata, social oriented con tanto di hashtag, contributi video e sponsor sul palco. L’ansia da prestazione della Michelin corrisponde all’ergersi – ormai da qualche anno – di altre realtà dotate di bacchetta magica, ossia in grado di dare assoluto potere ai ristoranti premiati, togliendole così il monopolio. Come ad esempio la classifica The World’s 50 best restaurants, senza dubbio il nuovo testamento dei gourmet del mondo. Questo ha velocizzato il processo di rinnovo e, rumor has it, ha influenzato qualche stramba decisione (come non dare la seconda stella a Lido 84 di Riccardo Camanini, amatissimo dalla 50 Best e da tutti i gourmet del mondo).
Fuor di gossip, quest’anno il Gotha è stato piuttosto generoso. Abbiamo un nuovo attesissimo 3 stelle, Villa Crespi, di Antonino Cannavacciuolo (chi diceva che la Michelin non premia i cuochi che vanno in Tivvù?), 4 nuovi bistellati di cui 2 a Roma: Acquolina di Daniele Lippi e Enoteca La Torre di Domenico Stile. E poi una pioggia di nuove stelle, per l’esattezza 33, più 19 stelle verdi a premiare la sostenibilità, il nuovo dogma della ristorazione.
Alcune stelle sono anche state tolte e forse la più clamorosa, dal mio punto di vista, è la seconda stella a La Trota di Rivodutri. Ho visitato questo ristorante nella scorsa primavera e l’ho trovato in grandissima forma. L’inserimento della nuova generazione dei Serva sta apportando freschezza e rinnovo, cosa che non è stata colta – è evidente – dagli ispettori che hanno preso questa confusa decisione.
Ma pareri personali a parte, come d’altronde lo sono quelli della Michelin, l’affollamento di premi e stelle, di liste e classifiche, di vari Best e Top non è lo specchio del mondo in cui stiamo vivendo. L’alta cucina batte i piedi e reclama ancora una volta il posto sul palcoscenico mondiale mentre assistiamo a un sotterraneo moto di insurrezione. Questo nuovo e folto gruppo di ribelli ama la cucina semplice che parla la lingua locale, vuole spendere meno ma vivere esperienze di livello, va alla ricerca di atmosfere sexy e contesta i vecchi paradigmi del ristorante stellato, dalle spiegazioni di ogni piatto alle ore seduti al tavolo, finendo persino a evitare i menu degustazione obbligatori. Questa battaglia, signori, è appena iniziata.