Street Food asiatico: il protagonista delle guide
Perché i chioschi asiatici hanno tutto questo successo nelle guide ufficiali? Lo scopriamo in questa viaggio verso est alla scoperta dello street food.
Quando la Guida Michelin pubblicò la prima edizione su Hong Kong e Macao nel 2009 (Tokyo nel 2008) molti si stupirono per la presenza, tra i ristoranti stellati, di alcuni locali non proprio da tovaglia bianca. Anzi, per dirla tutta, locali che definiremmo da street food e che venivano segnalati fino a quel momento solo nelle guide da backpacker come la Lonely Planet e la Routard. E cioè quel tipo di locali con i banconi caotici, dalle vetrine opache e le cucine a vista, se non addirittura in strada, con i wok sfrigolanti sui fuochi che si allargano nel vicolo laterale.
Poco più di chioschi, insomma, con tavolini precari in metallo, a volte comuni, panchetti in plastica per sedersi e senza neanche l’ombra di una tovaglia. L’apparecchiatura si limita a bacchette in plastica, cucchiai di latta deformati dall’uso, e tovaglioli di carta in contenitori self service pratici quanto unti. A fare da cornice, un servizio ruvido, efficace e sbrigativo, in menù una sola specialità e poche altre variazioni sul tema, e una gran fila di gente locale in attesa.
La stessa perplessità è tornata quando questo tipo di locali è entrato anche in altre guide asiatiche, come quella attesissima di Bangkok, la cui prima edizione è arrivata nel 2018 e nella prima di Singapore nel 2016. Che lo street food faccia parte della tradizione di tanti paesi in Asia e che in particolare nel Sudest Asiatico raggiunga un’alta qualità di ingredienti e risultati, non è certo una novità ma perché, in molti si sono chiesti, questo tipo di locali è premiato da quelle parti addirittura con una stella, mentre da noi in Italia non c’è la stessa considerazione? Il capitolo riconoscimenti però è solo all’inizio.
Oltre le stelle
Ad aggiungersi alle stelle, che sono state riconfermate da parte di Michelin anche dopo il difficile 2020, negli ultimi mesi sono arrivati altri due importanti riconoscimenti per il mondo street food del Sudest Asiatico che permettono di capire qualcosa in più se si vuole provare a rispondere alla domanda che ci siamo posti (e che per ora rivolgiamo solo alla scena gastronomica del Sudest Asiatico e in particolare a Thailandia e Singapore). A dicembre 2020 la cultura Hawker di Singapore, quella cioè dello street-food che anima i quartieri della città-stato, è stata iscritta nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dell’Unesco. Parte integrante della quotidianità dei singaporiani, gli Hawker Centre sono stati infatti riconosciuti come luoghi dove convivialità e tradizioni gastronomiche si uniscono: “Un patrimonio vivente che riflette l’esperienza quotidiana e la identità multiculturale della città” come si legge nel comunicato di annuncio.
Insomma lo street food di Singapore è cultura e come tale va difeso (alla cucina di strada a Singapore abbiamo dedicato un reportage video che trovate in alto in questo articolo). Il secondo riconoscimento c’è stato nel mese di febbraio 2021, quando gli Asia’s 50 Best Restaurants, la cui classifica sarà annunciata in diretta streaming il 25 marzo, hanno premiato Supinya “Jay Fai” Junsuta come Icona dell’industria. Da 50 anni Jay Fai è conosciuta nel mondo dello street food di Bangkok e da quasi altrettanti la sua stellata omelette di granchio, preparata con grande maestria su wok bollenti, attira folle, di vip, turisti e locali, che fanno la fila per ore per un posto nel suo semplice locale e per godersi lo spettacolo di questa grintosa signora ormai ultrasettantenne che, con i suoi occhiali da pilota, fa flair cooking con spatole e ingredienti. A renderla poi un personaggio televisivo globale ci ha pensato Netflix dedicandole una delle puntate del programma Street Food.
La strada è un ristorante a cielo aperto
Per cominciare a orientarci bisogna iniziare a ragionare su parametri diversi, calandoci nella realtà dei paesi di cui parliamo. Nel suo monumentale libro “Thai Street Food” del 2010, ancora oggi una vera bibbia sull’argomento, lo chef australiano David Thompson, considerato uno più grandi esperti di cucina Thai, a cui ha dedicato una vita di ricerche e passione, racconta ricette e preparazioni dividendo i capitoli per i momenti della giornata dal mattino a notte fonda. “In Thailandia è tutta una questione di cibo – si legge nella sua introduzione – I Thai ne sono ossessionati, ne parlano, ci pensano, per ordinarlo e mangiarlo. A tutte le ore del giorno si può trovare del cibo in strada. E le strade spesso sembrano più ristoranti affollati che vie transitabili per il traffico”. Il cibo di strada è vita, i chioschi nei mercati sono una presenza costante a tutte le ore. La strada è essa stessa un ristorante a cielo aperto: una grande cucina di casa, che spesso, soprattutto nelle metropoli dove la qualità abitativa non è sempre delle migliori e le case sono piccole, sostituisce la mancanza di fornelli casalinghi. E’ la strada il luogo per antonomasia dove si fa cucina di tradizione, familiare e popolare, i ristoranti fine dining sono dunque una acquisizione moderna, occidentale e comunque successiva. Escludere questa ristorazione per una tovaglia bianca, taglierebbe via un pezzo della lunga storia gastronomica del paese, sarebbe come iniziare a raccontare la cucina italiana dall’interpretazione contemporanea e innovativa di Massimo Bottura, saltando a piè pari i capitoli precedenti.
In strada da generazioni
A differenza di quello che si può pensare, in Asia non c’è niente di precario o improvvisato nelle attività di strada. Spesso si tramandano da generazioni. Sono vere e proprie istituzioni che crescono con la clientela. Ne è un esempio la storia di Sarisa Jaicharoen. Dopo cinque anni in Italia presso l’Ente Nazionale per il Turismo Thailandese, Sarisa è tornata dalla sua famiglia in Thailandia, a Surat Thani, nella provincia di Don Sak, che i turisti conoscono come la località dove prendere i traghetti per la splendida isola di Koh Samui. Qui presso il mercato locale sua mamma ha da 20 anni una attività. Un tempo ristorantino, oggi il chiosco è dedicato alla vendita di salse e condimenti per la speziata cucina Thai.
“Il nostro nam phrik è molto famoso e adesso con il mio aiuto vorremmo svilupparne la produzione per commercializzare questo ottimo prodotto artigianale di famiglia e venderlo anche nei negozi. Di questo mi sto occupando al momento” ci spiega Sarisa che racconta: “Su strada in Thailandia si vende di tutto, noi Thai amiamo mangiar fuori o portare a casa ogni giorno piatti cucinati al momento al mercato o nel posto sotto casa. Anche per le salse è lo stesso, il nam phrik è una tradizionale pasta piccante di peperoncini, non tutti hanno il tempo di farla a casa e quindi la comprano per condire i propri piatti dove sanno che è fatta con ingredienti freschi, come la faresti tu o tua mamma”. E la storia di Sarisa illumina anche un altro aspetto della cucina di strada: se le donne faticano ancora ad emergere come chef nell’alta cucina in Asia, sono loro le protagoniste dello street food, imprenditrici e cuoche instancabili da almeno mezzo secolo.
Un’economia in scala
I chioschi vivono in perfetta simbiosi con i mercati che li circondano e all’interno di un sistema economico complesso, che a volte sfugge al visitatore occasionale. Ce lo spiega bene lo scrittore di viaggio Corrado Ruggeri che all’Asia ha dedicato gran parte delle sue peregrinazioni e tanti libri affascinanti. Tra i suoi titoli più famosi “Farfalle sul Mekong” la cui prima edizione per Feltrinelli è del 1994 e ancora oggi resta un vero classico per chi sogna un viaggio in Sudest Asiatico. “Quando vai a Chinatown a Bangkok, ti rendi conto dell’importanza economica ma anche del ruolo sociale dello street food in Thailandia” ci dice – “Su Yaowarat Road i tavolini su strada dei locali si confondono con i banchi del mercato, formano un sistema di economia in scala che coinvolge tutti, dai produttori ai commercianti ai ristoratori e i cuochi, dalla campagna alla città” .
Al lavoro su un prossimo libro di viaggio in uscita questa estate, Ruggeri paragona la funzione sociale dello street food thai a quella di un nostro bar: “Dagli affari a una chiacchierata tra amici, la pausa perfetta per i Thai è stare seduti in uno di questi locali dal mattino presto alla notte nei mercati illuminati. E’ un luogo di incontro e socializzazione che gira intorno al cibo” ci racconta e ancora: “Non mi stupisce il premio a Jay Fai, è una istituzione da anni, amata dai clienti locali da almeno 3 generazioni e la sua omelette è buonissima. Per capire la vera cucina Thai bisogna mangiare in strada, è per me la forma più autentica di gusto che puoi vivere, e poi è divertente e per chi viaggia permette di conoscere davvero la cultura locale” conclude Ruggeri. Il grosso del giro d’affari nel settore della ristorazione, a queste latitudini, gira dunque intorno a questa incredibile galassia di chioschi, carretti e locali familiari, frequentatissima da tutti, senza distinzioni. Un mondo che negli ultimi anni, ben prima del Covid, ha rischiato anche di sparire nella capitale Thailandese e in altre città, per via di una campagna governativa, criticata e controversa, che mirava al riordino delle strade per un maggiore decoro.
Dal ricco al povero: stessi piatti per tutti
L’aspetto democratico è un altro elemento da considerare. Il cibo di strada in Asia è per tutti, senza distinzioni, dalle caotiche strade di Bangkok dove è ancora un po’ selvaggio, all’ombra dei grattacieli scintillanti di Singapore, nei più ordinati Hawker Centre oggi Patrimonio Unesco. Ce lo spiega bene Simone Macri, italiano, per 4 anni a Singapore come restaurant manager dello stellato Jaan by Kirk Westaway, New British Cuisine al 70° piano dello Swissôtel The Stamford. Da poche settimane si è trasferito a Tokyo, come responsabile del nuovo ristorante di Daniel Calvert al Four Seasons Marunouchi: “Gli Hawker Centre sono un punto d’incontro e non sono assolutamente legati a una classe sociale. Quante volte ho visto stappare grandi champagne o grandi vini francesi nei chioschi preferiti dai miei clienti! Più volte mi è capitato di trovarmi dopo il servizio con chef e colleghi di altri ristoranti stellati a dividere un white pepper crab, un classico chicken rice, il beef rendang o il satay” ricorda Macri.
Dello stesso avviso è chef Thitid “Ton” Tassanakajohn, giovane stellato con il suo Le Du a Bangkok, ottavo nella classifica degli Asia’s 50 Best Restaurants, e alla guida di altri 4 outlet: Baan, dedicato proprio alla cucina familiare, Baan Taipei, Nusara e Mayrai bar: “E’ il nostro modo di vivere e mangiare. E’ profondo nella nostra cultura. E’ il cibo di e per tutti, dal ricco al povero, che fa sentire tutti uguali, costa poco ed è buono”. Nelle società in cui sono abbastanza nette le differenze di classe e reddito, questo cibo rappresenta dunque uno straordinario collante sociale. E poi è un rito imprescindibile di ogni famiglia. Come il pranzo della domenica da noi.
L’alta cucina contemporanea asiatica nasce (anche) in strada
E naturalmente c’è il tema della qualità. Cucina democratica sì ma non per forza povera. “Capisco che molto spesso si confondono le stelle con locali eleganti, tovaglie bianche e servizio impeccabile ma dobbiamo sempre ricordarci che il sapore e la qualità di un piatto deve essere fine al piatto stesso, e che questi cuochi da generazioni affinano la loro esecuzione riproducendo esattamente lo stesso identico menù” ci dice ancora Simone Macri. Nella sua semplicità dunque il cibo di strada in Asia, è spesso un piatto affinato e perfezionato nel tempo con ingredienti freschissimi di mercato, se non di lusso, come nel caso del granchio di Jay Fai, ma è soprattutto cucinato espresso al momento e servito alla temperatura perfetta, come neanche in certi tre stelle. Una esecuzione che non può non ispirare da sempre gli chef di fine dining in Asia.
Lo street food dunque è un elemento fondamentale da cui partire per comprendere anche le scelte di menù dell’alta cucina contemporanea asiatica. Ce lo conferma chef Ton che rappresenta al meglio la nuova generazione di chef Thai che sta innovando la cucina nazionale, ispirandosi anche alle ricette tradizionali viste e assaggiate in strada a Bangkok, quelle della tradizione. Si aggiunge anche Jason Tan, chef Singaporeano, una stella Michelin al Corner House nei Giardini Botanici di Singapore, e che da poco ha aperto Euphoria, un ristorante in cui fa Gastro-Botanica con ricette green e l’uso estensivo di verdure: “Come tanti altri chef nel mondo, anche io mi sono ispirato al cibo locale, di strada e della mia infanzia. Quello che mangi con la tua famiglia. Nel mio nuovo Euphoria ho creato un dessert ispirato al Bandung Mochi nato dalla combinazione tra il Muah Chee (o Mochi) fatto di riso glutinoso immerso nella polvere di arachidi e il Bandung, una bevanda di strada molto popolare fatta di sciroppo alla rosa. Ho così creato il Bandung Mochi Gastro-Botanica con uno strato esterno ultrasottile di farina di riso glutinoso e gelato al gusto Bandung. Sopra, polvere di lamponi disidratata”.