Sai cos’è il TARTUFO DEL DESERTO?
Fonte immagine: Terre di Tartufi
Il tartufo del deserto è un fungo, simile al più conosciuto tartufo che si trova in Italia, molto apprezzato nella cucina emiratina e subsahariana.
I beduini del deserto lo chiamano figlio del lampo perché, quando piove tra le dune, i lampi che cadono sembrano indicare la strada per trovarlo nella scarna vegetazione. È il tartufo del deserto. Una specialità poco nota da noi ma ben conosciuta dal Nord Africa alla Penisola Arabica. Ma attenzione, con il nostro prezioso tartufo, bianco o nero, re della stagione autunnale, c’entra davvero poco. Siamo andati a Dubai a scoprirne di più, chiedendo ad esperti del settore di raccontarci cosa ne sanno di questo tartufo o Fagaa, come lo chiamano qui.
Una tradizione di famiglia
I beduini del deserto lo conoscono bene e lo raccolgono tuttora. Ti dicono che i più famosi sono in Siria e Arabia Saudita ma anche a Dubai è possibile trovarli. E a tutti brillano sempre un po’ gli occhi: il tartufo del deserto è spesso un ricordo di infanzia, una tradizione o un cibo un po’ antico consumato, in passato, per necessità. Me lo spiega Ahmed, che fa la guida per Platinum Heritage e accompagna i turisti nelle attività di safari nel deserto di Dubai. “Quando ero piccolo andavo con mio papà a raccoglierli. Aspettavamo che piovesse. Nella stagione invernale anche qui nel deserto fa una pioggia sottile. La vegetazione allora si risveglia e la sabbia smossa e compattata dall’acqua rivela questo tartufo. Ogni tanto vado anche adesso a cercarli”.
Che aspetto ha il tartufo del deserto?
Tondeggiante, regolare, come fosse una patata, senza particolare profumo o sapore. Che non sia pregiato non importa. Il suo fascino è intatto. Me ne parla anche Sahar Al Awadhi, nominata Best Pastry Chef ai Middle East and North Africa’s 50 Best Restaurants 2022 (che torneranno anche nel 2023): “Cresce naturalmente quando piove. Ricordo che mio zio ci portava a noi bambini nel deserto a raccogliere i tartufi dopo la pioggia. Il terreno si spacca e rivela il tartufo appena sotto la superficie. Certo la texture, il colore e le caratteristiche sono diverse dal vostro ma è uno dei pochi prodotti effettivamente autoctoni che cresce qui, è il nostro tartufo e per me è legato a questi ricordi di bambina” racconta la chef.
E ancora: “Uno dei passaggi fondamentali è pulirlo bene dalla sabbia, i migliori, i più compatti si rivelano subito. A me piace stufato o anche fatto sulla griglia. Chissà forse un giorno creerò un dolce al tartufo, amo le sfide”. Per provare ad acquistarlo a Dubai la chef suggerisce di andare al Vegetable Market dove ci sono diversi interessanti ingredienti locali poco conosciuti e oltre all’ingrosso, ci sono alcuni negozi dove acquistare. Naturalmente in stagione.
Cos’è e quanto costa il tartufo del deserto?
“Tecnicamente è una terfezia, una tipologia di fungo ipogeo non particolarmente pregiata, di poco valore sul mercato, non possiamo paragonarla al nostro tartufo” ci tiene subito a chiarire l’imprenditore Luigi Dattilo, presidente di Appennino Food Group, grande esperto e appassionato di tartufi e titolare di una delle aziende gourmet più note in Italia. Ce ne sono di diversi tipi e si trovano anche in Europa, da noi in Sardegna dove non vengono neanche raccolti o venduti. Quelli del deserto sono terfezie del tipo Arenaris e Leonis.
“È un po’ un gioco quello di chiamarli tartufi, in realtà le terfezie rispetto a tanti altri funghi ipogei sono quelle che affiorano in modo maggiore. Di solito sono in avvallamenti del terreno o rigonfiamenti, li trovano in prossimità delle palme da dattero o di alcuni tipi di piante, dove riescono a micorizzare. Si trovano ad occhio, senza l’aiuto del cane come da noi. La stagione è il nostro inverno, da novembre a primavera, che è anche il momento climaticamente più favorevole. Negli altri periodi dell’anno è troppo caldo. Si vedono anche perché possono raggiungere dimensioni importanti, persino un pugno o un’arancia, in quanto sviluppandosi nella sabbia tenera non hanno impedimenti” spiega ancora Dattilo.
Sebbene sia facile individuarlo, non si trova dappertutto. “Qui a Dubai come in altri paesi dell’area, è apprezzato perché è come il quadrifoglio, non si trova facilmente. Quando c’è, viene molto richiesto. Persino la famiglia reale qui a Dubai, quando li raccoglie nel deserto ama pubblicare la notizia sui social media. Ultimamente è molto apprezzato quello dall’Algeria, ma anche da Arabia Saudita, Qatar, Bahrein, va da una tonalità bianca a una più rossa o quasi scura. Le signore emiratine ne ordinano cassette, va a chili come le patate. Quando piove se ne raccolgono tonnellate in una notte, ma poi magari per mesi non si trova nulla”, racconta Massimo Vidoni, conosciuto a Dubai come Truffle Man. Un soprannome che si è guadagnato sul campo: con la sua azienda da oltre 20 anni è il maggiore importatore del nostro tartufo italiano nella città emiratina, grande esperto e conoscitore del mercato rifornisce i maggiori ristoranti dell’area di questo e altri prodotti pregiati, compresi i nostri stellati italiani. Il prezzo del tartufo del deserto? 20-30 euro al chilo ma dipende dalle annate, come da noi.
Come si mangia il tartufo del deserto
“Lo mangiano stufato, con altre verdure, come patate e carote. Lo fanno a fette una volta cotto e lo mangiano con le salse. L’ho visto persino servito con la maionese!” spiega Vidoni e ancora: “Sono più gli anziani a mangiarlo, è davvero un cibo di una volta, come i vecchi bolliti di un tempo da noi. Per loro è un ricordo d’infanzia, ci sono affezionati. Poi è chiaro, con l’introduzione dei nostri tartufi italiani, sono diventati più consapevoli della differenza e della nostra qualità. Anche grazie agli chef”. Si può trovare anche nelle tajine. “L’ho mangiato anni fa al Cairo, in Egitto, in un piatto alla maniera beduina affettato in fette grosse in una tajine di carne di capra, come accompagnamento, tipo chips fresche. Ma li fanno anche cotti, impensabile da noi”, ci dice Dattilo. L’aspetto è bianchiccio e cervellotico, giallo paglierino all’esterno mentre dentro è di un bianco candido. E il gusto? “Hanno poco sapore, sono gommosi, perché crescono in territori avversi, caldi, dove per sopravvivere bisogna essere robusti, coriacei e non particolarmente buoni”. Secondo quanto ci racconta venivano usati fin dall’epoca dei Romani che li importavano dal Medio Oriente, ci sono addirittura affreschi che li hanno consegnati all’eternità.