Home Chef Dimenticate le patate: The Irish Cookbook insegna l’alta cucina irlandese

Dimenticate le patate: The Irish Cookbook insegna l’alta cucina irlandese

di Alessandra Gesuelli • Pubblicato 26 Febbraio 2020 Aggiornato 10 Giugno 2020 14:27

The Irish Cookbook, edito da Phaidon, è un libro di 500 ricette che esplorano la cucina irlandese, tradizionale e moderna, con lo chef JP McMahon.

Dimenticate le patate, perché ostriche e alghe sono il vero piatto nazionale in Irlanda. A dirlo una nuova generazione di coraggiosi chef irlandesi, ansiosi di cambiare la percezione del cibo dell’isola di Smeraldo, un ricettario per raccontare la nuova anima (e non solo) della cucina irlandese associato appunto troppo spesso alle patate (e alle ondate di carestia della sua storia lontana). Tra gli chef il principale artefice di questo Rinascimento dell’alta cucina in terra Irish, è senza dubbio JP McMahon: 3 locali a Galway tra cui lo stellato Aniar e il Bib Gourmand Tartare Café. Da 5 anni, con il suo congresso Food on the Edge, anima una comunità di chef, foodie, professionisti e media discutendo per due giorni su un palco, di trend e sfide future e presenti dell’industria. Proprio JP McMahon, nell’anno appena iniziato in cui Galway è Capitale Europea della Cultura, pubblica a fine febbraio l’enciclopedico The Irish Cookbook, per l’editrice Phaidon:  500 ricette, per raccontare il patrimonio alimentare straordinariamente ricco dell’Irlanda che risale indietro millenni e celebra la cultura culinaria unica dell’isola e le radici dei suoi sapori abbondanti e della calda ospitalità.

Una mappa di piatti e di ingredienti da segnarsi, come le ostriche e le alghe sulla costa occidentale, la carne bovina e d’agnello dai pascoli, il cibo selvatico della foresta, le bacche e l’avena. Il libro esplora anche la cucina casalinga: un patrimonio sorprendente di zuppe, stufati, torte, budini, cagliate, conserve, sottaceti, pane, bevande e liquori. Ma attenzione, non è una storia omnia del cibo irlandese. “Nessun libro può essere esaustivo”, dice lo chef nell’introduzione. “Sono tanti i libri di cucina irlandese che si trovano in giro, ma sentivo che mancavano alcuni aspetti culturali legati alla storia e all’evoluzione del nostro territorio e che soprattutto non si guardava al presente e al futuro”, ci ha raccontato in questa intervista esclusiva per Agrodolce.

Come è nata l’idea di questo libro a cui hai lavorato per anni?
Ho pensato per la prima volta al libro circa 5 anni fa. Suppongo che cucinando e viaggiando mi sia reso conto di quale ricchezza di storia del cibo stavamo trascurando in Irlanda. Le persone vivono da oltre 10.000 anni qui e abbiamo avuto molte ondate di immigrazione. Una storia decisamente lunga, se pensiamo alla cucina. Sentivo di dover provare a capire questo percorso. Naturalmente ci sono molti libri dedicati al cibo irlandese, ma a tutti sembravano mancare alcuni aspetti. Ho provato a mettere tutto insieme, a fare una sintesi di questa complessa moltitudine.

Quale è la tua opinione sul presente e il futuro dell’Irlanda gastronomica?
Il mondo del food irlandese oggi è un mix complesso fatto da diverse personalità che lavorano nel settore. Sono diversi i punti di vista, non uno solo. Io per esempio ho un approccio molto guidato dal terroir, incentrato su cibi selvatici, alghe e prodotti autoctoni. Ma questa non è l’unica storia che si può raccontare. Come mostro nel libro, in Irlanda abbiamo una lunga storia di utilizzo delle spezie. Quasi 1.000 anni per l’esattezza. Il cibo irlandese guarda anche all’estero. Per me l’enfasi oggi dovrebbe essere su molluschi e alghe, ma questo è solo un modo di vederlo, il mio. È importante abbracciare tutti gli aspetti della nostra storia.

Quali sono le ricette o gli ingredienti più sorprendenti nel libro, quelli che ti hanno ispirato di più per il tuo lavoro attuale?
Penso che una delle ricette più affascinanti sia stata il vino di betulla. È fatto dalla linfa dell’albero di betulla. La ricetta risale al 1780 circa ma la pratica è molto più antica. Usiamo la linfa di betulla ad Aniar e pensiamo di essere contemporanei. Lo facevano già 300 anni fa!

Se dovessi dirmi un ingrediente o un piatto che interpreta meglio il futuro della cucina irlandese, quale sarebbe?
Sicuramente l’ostrica. Abbiamo acque di grande qualità in Irlanda. Galway è famosa per le sue ostriche e i frutti di mare sulla Costa Ovest sono rinomati. Le ostriche risalgono ai primi abitanti del paese. Per me le ostriche insieme alle alghe dovrebbero essere considerate il vero piatto nazionale!

Si può parlare anche di cucine regionali nel Paese o esiste solo una unica cucina irlandese?
Ci sono molti aspetti di regionalismo. Per esempio per il pane o nell’utilizzo di alghe marine nelle aree costiere, ma la nostra storia coloniale supera queste divisioni. Però va detto che non c’è mai stata un’unica identità. L’irlandese ha una moltitudine di identità da quella celtica alla vichinga, fino all’anglo-normanna. Solo per citarne alcune. Dobbiamo ricordare che per gran parte della nostra storia non c’erano parole scritte. 8000 anni della nostra storia non sono documentati e dobbiamo attingere a reperti archeologici per mettere insieme il nostro passato.

Ci sono ricette che hai dovuto lasciare fuori dal libro e avresti voluto includere?
Il puffin arrosto. Eh sì, mangiavamo il puffin sull’isola (si tratta della pulcinella di mare, un volatile dal piumaggio distintivo, bianco e nero, e dal becco colorato ndr). Ma ora è una specie protetta. È difficile a volte far incontrare la storia con la sensibilità contemporanea.

A ottobre 2020 torna Food on the Edge, nell’anno di Galway Capitale della Cultura: che novità puoi anticiparci?
Quest’anno ci concentreremo sull’agricoltura e l’importanza della terra. Ci sarà un bel mix di diversi speaker. Lo chef Magnus Nilsson torna dopo alcuni anni insieme ad altri che annunceremo. Avremo dei co-curatori, che sono Selassie Atadika, Matt Orlando, Arlene Stein e Mark Best, quattro speaker del passato, che sceglieranno quattro nuovi speaker per quest’anno. Vogliamo così espandere i nostri orizzonti e far crescere il simposio.