Vino: perché la rifermentazione senza zucchero (e con il mosto) è possibile
Una nuova via per il vino sembra possibile, quella della rifermentazione in bottiglia. Una storia che fonde antiche saperi a nuove idee.
C’è una nuova via per le bollicine italiane: il vino che rifermenta col mosto. Da qualche anno a questa parte alcuni produttori di bollicine del Bel Paese sono andati oltre la classica rifermentazione in bottiglia, migliorando i propri vini in finezza, cremosità, fedeltà al vitigno e al territorio. È la via dell’uva e basta, dell’eliminazione in bottiglia di tutto ciò che non provenga direttamente dall’acino. Giusto l’aggiunta di una minima quantità di solforosa, necessaria, e di poco lievito selezionato per qualcuno, comprensibile visto il rischio di ritrovarsi nel vino aromi poco piacevoli, se si lavora solo con lieviti indigeni.
Come si ottiene la rifermentazione
La rifermentazione in bottiglia per l’ottenimento di vini spumanti si è sempre basata sull’aggiunta al vino base di un liqueur de tirage, cioè una soluzione di lieviti e zucchero di canna o barbabietola, con il compito di avviare una seconda fermentazione e trasformare il vino da fermo a frizzante, da 1 a 2,5 bar di pressione in bottiglia, o spumante, oltre i 3 bar in bottiglia. Negli ultimi tempi però si sta diffondendo la pratica di rifermentare il vino con l’aggiunta in bottiglia di mosto d’uva anziché di zucchero.
Buscemi, l’archimede pitagorico del vino
Il più anziano dei vini rifermentati in bottiglia con mosto d’uva di cui abbiamo notizia è dell’82enne Gaspare Buscemi, enologo artigiano a Cormons (GO). Un'idea figlia di antichi saperi Antesignano della moderna enologia naturale, già elogiato da Gino Veronelli e soprannominato l’Archimede Pitagorico del vino per la sua inventiva e la capacità di costruirsi da solo i macchinari per fare il vino. Gaspare utilizza mosto fresco per avviare la seconda fermentazione del suo Perle d’Uva Metodo Classico fin dal lontano 1987. In cantina ne conserva ancora qualche bottiglia. A ispirarlo furono i vini contadini che rifermentavano spontaneamente e inaspettatamente in bottiglia. Quelli fatti con uve vendemmiate in prossimità dei primi freddi e che non avevano il tempo di trasformarsi in vini completamente secchi prima di essere imbottigliati. Alle prime miti temperature primaverili i lieviti sopiti dal gelo si risvegliavano e mangiavano gli zuccheri residui producendo anidride carbonica che rimaneva intrappolata in bottiglia. A volte i vini esplodevano, altre si trasformavano in nettari frizzantini e amatissimi dagli abitanti locali come la famosa Romanella o il Cannellino di Frascati, l’Aglianico del Vulture o i vini dell’Oltrepò.
Il Perle d’Uva di Buscemi sarebbe il primo vino spumante ottenuto con liqueur de tirage a base di mosto. La motivazione che portò Gaspare a metterla a punto è che “il mosto, a differenza dello zucchero puro, contiene anche sali minerali, profumi e sapori; va quindi ad arricchire e rinforzare l’equilibrio del vino anziché apportare solo alcol, Co2 e glicerina. Un po’ come la differenza fra mangiare una carota o prendere degli integratori di beta carotene, il piacere del gusto e i vantaggi nell’assumere anche fibre e sali minerali nel primo caso sono evidenti”, ci racconta raggiunto al telefono. Noi abbiamo assaggiato la Cuvèe del 2002/2003 rifermentata con mosto del 2004. Complessità e intensità nei profumi, cremosità e sapidità al sorso ne fanno un ottimo prodotto contraddistinto da un raro rapporto qualità/prezzo.
In Franciacorta: Arcari e Danesi e SoloUva
Di nascita relativamente più recente ma già conosciute fra gli appassionati del buon bere sono le due realtà franciacortine Arcari e Danesi e SoloUva. La prima è attiva dal 2006 e si trova nel comune di Coccaglio, in cima al Monte Orfano, rilievo a sud ovest della denominazione caratterizzato da terreni ricchi di ferro in grado di conferire interessanti note minerali ai vini. I due fondatori, Giovanni Arcari e Nico Danesi, hanno deciso di produrre solo Franciacorta millesimati. SoloUva invece sorge fra Adro ed Erbusco, ed è una giovane e brillante realtà condotta da Arianna Vianelli e Andrea Rudelli.
Le due cantine collaborano un po’ su tutti i fronti e condividono lo stesso metodo produttivo che consiste nel vendemmiare le uve a piena maturazione e stoccare una parte del mosto ottenuto a 0°C. Una volta pronti, i vini base vengono rifermentati in bottiglia tramite l’aggiunta di lieviti selezionati e di una parte del mosto conservato. Infine, dopo la sboccatura, si procede con il dosaggio tramite l’utilizzo di una liqueur preparata sempre con mosto d’uva anziché con zucchero di canna o barbabietola. Un metodo di produzione innovativo in Francicorta, capace di portare in bottiglia ancora più ricchezza di profumi, corpo e riconoscibilità del territorio e di cui, con tutta probabilità, sentiremo parlare sempre più spesso.
Venendo ai frizzanti col fondo affascinante è la realtà dei fratelli Marco e Gianni Storchi, a Montecchio Emilia (RE) in Val D’Enza. La tecnica è simile a quella del lievito madre Producono un Reggiano Rosso chiamato Pozzoferrato: un lambrusco frizzante da uve Ancellotta, Malbo Gentile e Maestri. La tecnica è quella del pied de cuve o piede di fermentazione, un concetto simile a quello del lievito madre per il pane. Durante la vendemmia tengono da parte un po’ di mosto e lo conservano a 1°C. A febbraio ne prendono una parte, lo portano a temperatura ambiente e lo fanno fermentare parzialmente, quel tanto che basta per selezionare i lieviti giusti, quelli cioè che non daranno puzze indesiderate. Aggiungono quindi questo starter di fermentazione autoprodotto assieme alla dose calcolata di mosto al loro vino base e lo imbottigliano per fargli fare la presa di spuma. Dopo qualche mese il vino entra in commercio senza sboccatura.
La nuova via del vino
Questi esempi indicano che una nuova e affascinante via è possibile. La sostituzione del semplice zucchero di canna, o barbabietola, con mosto d’uva oggi è diventata una possibilità in più nel mondo delle bollicine italiane. C’è chi pensa che si tratti di inutili sforzi o di escamotage di marketing, ma nell’epoca del less is more e della ricerca della massima territorialità dei vini la pratica incuriosisce e attrae parecchio. Se avete assaggiato questi o altri vini rifermentati in bottiglia con aggiunta di mosto fateci sapere cosa ne pensate nei commenti qui sotto. Perché alla fine è il vostro parere ciò che conta. Buoni brindisi.