Essere Vito Dicecca: come è affinare formaggio in Puglia
Vito Dicecca è un casaro pugliese, oltre alle mozzarelle produce formaggi affinati di grande pregio: questa è la sua storia.
Bisognerebbe provare una volta nella vita a essere Vito Dicecca. O se non credete alla trasmigrazione delle anime, almeno dovreste fare come lui. Dovremmo. Mollare gli studi. Imparare il mestiere, non uno qualsiasi ma quello giusto (4 generazioni di casari nel suo albero genealogico). Prendere una valigia e partire. Nel caso specifico alla volta dell’Australia, nel vostro caso nel Paese più esotico che si trovi sul globo terraqueo. Arrivare, conoscere, farsi conoscere, lavorare, lavorare, lavorare, e imparare. Infine insegnare. Adattarsi all’offerta del territorio, facendola propria. Produrre, mescolare. All’insegna del meticciato gastronomico e produttivo. E sempre pronti a ripartire.
“Non occorre essere in Italia per fare un buon prodotto italiano“. Dice, o glielo faccio dire. Mi si perdoni la parafrasi. Qui e in tutti gli altri virgolettati. Che raccontare una storia con così tanti punti di interesse non viene neanche così facile. Se amate la consecutio, la storia in brevissimo è questa. Siamo da La Santeria (Via del Pigneto 213, Roma), la serata è tutta dedicata ai formaggi. Gioia Di Paolo ricercando rarità ha incontrato questa realtà pugliese e ne è rimasta affascinata. Folgorata. I formaggi sono sul banco. Il casaro appena più in là su uno sgabello. È difficile staccare gli occhi dal banco ma lo si fa. Per onore di cronaca.
Un ragazzo di Altamura, classe 1985. Che abbandona gli studi per cercare il suo posto nel mondo. Una storia, che ha al principio molto in comune con tante altre storie. Quando la provincia sta stretta. L’azienda di famiglia è un meccanismo ben oliato. Mozzarelle e pecorini, per la produzione locale. 3 aziende in accordo per conferire latte. Tutte più o meno nell’agro di Laterza o giù di lì. 20 quintali al giorno. Prodotti caseari freschissimi con shelf life ridotta, proprio come è la tradizione di mamma Murgia, dove il banco si svuota presto è il lavoro ti obbliga alla sveglia all’alba. Il papà a capo e i 5 fratelli (Vito incluso) a portare avanti il negozio di famiglia.
Per imparare quanto più possibile, è necessario viaggiare. Vito parte. Prima tappa Perth, in Australia con poco inglese in tasca. Poi Melbourne fino ad aprire in collaborazione con i locali un caseificio per la produzione localissima di mozzarella di bufala. E poi di lì un viaggio continuo in circa 63 Paesi, a contatto con casari di tutto il mondo, affinatori e gastronomi. Ristoratori, clienti, amici, persone. Culture. Abbandonare il mondo della mozzarella è stato quasi un passaggio di obbligo. Per 4 anni senza interruzione, senza tornare mai a casa. 63 paesi visitati e quasi 60 nuove aperture di caseifici in collaborazione in tutto il mondoE mi sembra che di storie Vito ne possa raccontare una infinità che il tempo di una cena è infinitesimo e una settimana intera di chiacchiere non basterebbero. Lui che alla fine è così giovane. Non chiedo di più. Parlotta di Sud Est Asiatico, Giappone per 8 mesi, Pasadena (in California) per un periodo appena più lungo. Molti altri luoghi li tace. Le collaborazioni hanno dato vita a un numero altissimo di caseifici aperti qua e là, Vito e i suoi contano circa 60 aperture. In ultimo il Sud Africa. E infine la Puglia, il ritorno a casa. L’approdo in quella terra dove non è sempre è facile mettere a frutto le tecniche imparate. “I formaggi rimanevano in azienda e non sapevo a chi venderli” mi confessa. “I Social sono stati fondamentali per me. Ho smesso di postarci la mia vita e ho iniziato a mostrare il mio lavoro”. E da lì i contatti. La produzione si mantiene piccola piccola. Nessun grande numero per mantenere la qualità. Pochissimi punti vendita riforniti. In maniera artigianale, con attenzione al prodotto ma in una dimensione che più piccola non si potrebbe. Una fortuna quindi avere un intero banco pieno a disposizione.
Finiamo di parlare che l’ora è tarda. Il menu è tagliato a misura per l’ospite. C’erano anche panini, altrettanto invitanti. Ma noi ci siamo fiondati sul tagliere, sulla degustazione. Il palato in fibrillazione ad ogni morso. E tanto e tanto da dire dopo ogni boccone.
- Nodo d'amore. Solo latte vaccino, siero innesto, caglio, sale. Una pasta rilassata e liscia. Di una sapidità al cuore che la mozzarella delle Murge spesso non condivide con quella prodotta più a nord realizzata ad Andria. Zero stridore al morso e un avvolgente sapore di latte.
- Burrata con sorpresa. Non me ne vorrete se ne stravolgo il nome. Latte vaccino, crema di latte e una sorpresa di un humamico inaspettato. La burrata in Puglia è un prodotto da consumarsi quotidianamente. E in Puglia, si sa, non ci si accontenta neanche quando un prodotto è al suo massimo splendore. Akmè della akmè. Si aggiungono alla stracciatella che ne è al cuore altri ingredienti che rendono l'equilibrio emotivo precario. Prosciutti e tonni su tutti. Il casaro stavolta di stupisce, insieme alla crema di latte il cuore si riempie con un erborinato di capra a tocchi. Piccole esplosioni di gusto. E ricordate il consiglio. Più è grande la burrata più sarà buona.
- Caciobucato due latti - bufala e vacca. Evoca panini ripieni e diventa foriero di abbinamenti infiniti. Reso ancora più dolce dall'incontro della materialità dei due latti. Al palato è leggermente sapido e di buona persistenza al finale. Due spicchi non bastano a saziare la fantasia, ne vorrebbe altre fette per immaginare focaccine strabordanti, se lo immagina appena piastrato, lo prefigura leggermente più stagionato. Quando il termine evocativo non è abbastanza.
- Erborinato al primitivo. Blu di Puglia. Formaggio di vacca, affinato con primitivo di Manduria (ma anche di Gioia del Colle) ricoperto da una cascata di frutti rossi. Frutti di bosco disidratati. Un erborinato dal carattere docile, che il vino lega alla terra e che i fruttini ingentiliscono. Si rischia la rissa per scegliere un abbinamento sul versante salumi. Alla fine ci arrendiamo alla variabilità di ogni morso. Più muscoloso sulla crosta, gentilissimo su in cima. Verace al cuore. Non accompagnatelo.
- Erborinato ubriaco al balsamico. Vito racconta della sua visita alle acetaie su, in Alta Italia. E di come il formaggio si affini in botti legno di gelso (fatte fare per l'occasione). Di come sua mamma in stagione raccolga il gelsi e li lasci appassire al sole. E non avremmo molto altro da dire se non che la sapidità è appena più accennata. I frutti puliscono il palato dopo un lauto boccone. L'erborinatura è magistrale.
- Piramide di capra. Latte di mungitura, mai refrigerato: latte crudo. Non scartate la crosta fiorita che è parte integrante del ventaglio aromatico di questa opera di ingegno. Candidum o muffa bianca. Se siete neofiti dei formaggi partite di qui. Per noi un pit stop necessario prima del grandissimo finale.
- Erborinato di capra. 15 mesi di affinamento. Di un blu che vira al grigio e già al naso lascia interdetti. Nel senso più positivo del lemma. Complicato al palato. Una climax ascendente. Una sinfonia. Pepato all'ingresso, sapido di parmigiano al centro bocca, poi subito avvolgente con una nota muschiata ampissima a un soffio dall'amaro. Persistente di erborinatura sul finale. Lunghissimo. Solo armati di pane di Altamura si affrontano i successivi morsi. Sorseggiando passito si ritrovano altri spigoli, punti di interesse, ricordi palatali. Esperienziale.
- Yogurt con miele e tè macha."Ho imparato a fare lo yogurt in Grecia. Una amica mi ha portato con lei. La sua famiglia produce yogurt e non ho perso l'occasione di imparare a farlo. Uso ancora quel metodo. Il dessert è una idea mia. Lo mangio così a colazione ogni mattina" Così. Yogurt, un miele delicato e una mantecatura di tè macha. Arrivato con Vito dal Giappone. "Presto non ce ne sarà più nella mia scorta". Tè macha Frist Ceremonial Grade. Una coccola.
“Vieni ad Altamura, voglio farti assaggiare altro. Ma avvisami. Tra poco parto per la Costa Rica, vado fino al Nicaragua …” Non si ferma mai, glielo faccio notare. “Lo sai è la mia passione, è la mia vita”.