Tutte, o quasi, le parole del Riesling
Un approfondimento sul vino Riesling tedesco, completo di classificazioni, denominazioni e di un focus sulle etichette.
Diciamolo: ad un wine geek (persona colta e fissata con il vino) che si rispetti, la sola visione di una buona bottiglia di Riesling tedesco provoca sottili fremiti di piacere, sia fisico che intellettuale. Le tante qualità dei migliori tra questi vini non possono che intrigarlo: freschezza e mineralità, eleganza e complessità, longevità, territorio, tradizione e chi più ne ha, più ne metta. Piccoli capolavori, unici nel loro genere, che nascono dall’incrocio di una serie di fattori che ne determinano il carattere, tanto peculiare. Il Riesling renano, vitigno resistente e produttivo e dalla lunghissima vita vegetativa, ha trovato la sua culla nelle suggestive terre che si affacciano scoscese sulle ampie anse dei fiumi della Germania sudoccidentale, Mosella in testa.
L’esperto adora queste antiche vigne, alcune ultracentenarie e a piede franco (si dice di una vigna che non è mai stata innestata su radici americane, a seguito dell’epidemia della fillossera), spesso allevate in regime biodinamico con densità d’impianto che arrivano ai 10.000 ceppi per ettaro, i cui frutti testimoniano un’incredibile capacità di interpretare pienamente il territorio. Il microclima mitiga le elevate escursioni termiche che pure favoriscono l’esplosione degli aromi, e le uve maturano grazie ad esposizioni perfette. I terreni pietrosi, di grande interesse geologico, garantiscono un drenaggio ottimale, trattengono il calore del sole e nutrono la vite di fondamentali componenti minerali: dalle ardesie Devoniane della Mosella, blu e rosse, fino ai suoli di matrice vulcanica e calcarea, sempre più frequenti man mano che si procede verso oriente. Tutto questo si incarna in una tradizione millenaria che vede tante aziende familiari, magari con pochi ettari di proprietà (a volte pochi filari), impegnate da generazioni in antiche pratiche di viticoltura eroica e in prassi di cantina consolidate ed assolutamente rispettose della tradizione.
Il nostro – l’esperto – sa che questi grandi vini non sono di immediata comprensione, e dentro di sé un po’ ne gode. Il loro modello estetico è unico al mondo, giocato su circensi equilibri tra la vibrante acidità, il residuo zuccherino ed il basso tenore alcolico, elementi che lo pongono ad incolmabile distanza dal feticcio mass market dello Chardonnay rotondo e morbido, che va ancora per la maggiore.la legislazione tedesca prevede che il vino sia classificato in base al contenuto zuccherino nel mosto e alla denominazione geografica regionale Il wine geek conosce a menadito la piramide qualitativa della legislazione tedesca in materia, e sa che il vino è classificato in base al contenuto zuccherino nel mosto (misurato in gradi Oechsle) e alla denominazione geografica regionale. In passato ha dribblato agevolmente Tafelwein (vino da tavola) e Landwein (vino con indicazione geografica di provenienza, tipo i nostri IGT/IGP), marchiandoli come dimenticabili. Quindi ha rapidamente attraversato la vasta area del Qualitätswein bestimmter Anbaugebiete (QbA), il vino di qualità proveniente da zone vinicole determinate, comparabile alle nostre DOC/DOP, per cui è però ancora permessa l’addizione di zuccheri al mosto (chaptalisation) o di süssreserve (mosto non fermentato), purché sia della stessa origine del vino a cui viene aggiunto. Qui e là il wine geek ha anche dispensato misurati apprezzamenti per alcune di queste etichette, quantomeno per l’incredibile rapporto qualità/prezzo, sebbene in cuor suo le consideri marginali. Il suo paradiso è il Prädikatswein, il top della piramide qualitativa tedesca, che fino a poco tempo fa si chiamava Qualitätswein mit Prädikat (QmP): sono i vini con specifici disciplinari di produzione (prädikats), che non consentono la chaptalisation e che – volendo – potremmo accomunare alle nostre DOCG.
Il wine geek fedele alla denominazione d’origine è conscio che tra i prädikatsweine si trovano le più autentiche perle dell’enologia tedesca, e si muove con disinvoltura attraverso i diversi predicati, anch’essi basati sulla crescente quantità di zuccheri presenti nel mosto, con valori minimi fissati sempre in base al vitigno ed alla regione di provenienza. un riesling dal contenuto zuccherino basso è detto trocken (secco), mentre un beerenauslese è più dolce e rotondo Quando vuole un Riesling con il minor residuo zuccherino possibile, il nostro cerca la parola magica trocken (secco), ma non disdegna i demi-sec: tanto gli Halbtrocken quanto i più concessivi Feinherbs. In un crescendo di sensazioni dolci, si è a lungo intrattenuto con i giovani, affilati Kabinett (i vini da dispensa) della Saar, freschi ed agrumati, con le loro fragranti note di cassis, come quelli più delicati e minerali della Ruwer. Ha adorato gli eleganti Spätlese (vendemmia tardiva) della Nahe, fruttati ed eleganti, come quelli, ancor più strutturati e pieni, dello Pfalz. Si è inginocchiato innanzi ai maturi Auslese (vendemmia da grappoli selezionati), morbidi e complessi, dei più famosi lage (territori) della Mosella centrale, che lui ha mandato a memoria, da Brauneberg ad Erden, passando per Bernkastel, Graach, Wehlen, Zeltingen ed Urzig. Si è abbandonato, lascivo, alle dolci rotondità dei Beerenauslese (BA – vendemmia da acini selezionati) di Mosella e Rheinessen, beandosi della loro dolcezza qui e là velata di salmastro, delle note di cotognata e datteri, scorza di cedro candita, erbe aromatiche e pepe bianco. Ha scalato la piramide fino alle vette della pura libidine provando tutti i Trockenbeerenauslese (TBA – vendemmia da acini appassiti selezionati) fino a quelli del Rheingau, godendo appieno degli effetti della botrytis cinerea (edelfäule), scavando tra note di crema pasticciera e zafferano, noce moscata e caramello, nuance salmastre e idrocarburiche. È’ andato in solluchero davanti ai rari Eiswein (vini del ghiaccio) che nascono da acini selezionati disidratati dalle prime gelate, con temperature di almeno -7°, con zuccheri concentrati come in un BA ma, spesso, con aromi primari intensi ed acidità maggiore, densi e cremosi, da meditazione.
Ammira il Verband Deutscher Prädikatsweingüter (VPD), l’associazione di produttori fondata nel 1910 con lo scopo di proteggere la qualità del patrimonio vitivinicolo tedesco, e ovviamente ne conosce la classificazione non ufficiale che, oltre al residuo zuccherino, valuta la capacità del vino di riflettere il terroir. Egli sa bene che il livello qualitativo più alto è il VDP.Grosse Lage, e designa i migliori vigneti da cui nascono vini particolarmente espressivi con eccezionali potenzialità d’invecchiamento. I vini secchi da VDP.Grosse Lage vengono denominati VDP.Grosses Gewächs (GG). Scendendo di livello si trovano i VDP.Erste Lage (vigneti di prima classe, con caratteristiche distintive), cui seguono i VDP.Ortsweine (vini provenienti da terreni superiori) e, infine, i VDP.Gutsweine. Oltre a queste denominazioni, non ignora che i vini secchi dei produttori che aderiscono al VDP recano in etichetta l’indicazione Qualitätswein Trocken, mentre gli altri seguono i normali prädikats in base al residuo zuccherino.
È consapevole: osserva la bottiglie e, al volo, coglie la presenza delle Goldkapsel (GK – capsula oro) e Langegoldkapsel (LGK – capsula oro lunga) sapendo che esse identificano, a livello non ufficiale, il vino edelsüße (dolce nobile) che ha raggiunto una concentrazione di zuccheri superiore a quella prevista dal prädikat di riferimento, oppure che ha particolarmente risentito dei benefici influssi della botrytis cinerea raggiungendo eleganza, concentrazione ed aromaticità superiori. Ne ha almeno un paio di bottiglie nella sua cantina igro-termo controllata (ossia con umidità e temperatura sotto controllo), e ogni tanto le guarda con cupidigia perché sono vini piuttosto rari, non reperibili in tutte le annate, e che alle aste annuali del Riesling strappano prezzi decisamente alti: una bottiglia da 0,50 l di Trockenbeerenauslese o di Eiswein di un produttore particolarmente gettonato in ottima annata, può raggiungere anche i due o tremila euro.
Per il wine geek un’etichetta di Riesling tedesco non ha segreti, e sa bene che la dicitura Alte Reben indica le vigne vecchie. Ma lui si spinge molto più in là, fino a padroneggiarne i segreti iniziatici come il criptico Amtliche Prüfungsnummer (AP number) che contraddistingue le singole partite di imbottigliamento: sa perfettamente che in un AP number (X XXX XXX X XX) la prima cifra corrisponde alla stazione di degustazione, le successive indicano il paese in cui si trova l’azienda, quindi il produttore, e che le ultime due sono l’anno di degustazione, ma ricorda che quella veramente importante per lui è la cifra singola in penultima posizione. È lei che indica lo specifico imbottigliamento: le singole parcelle, infatti, possono essere vendemmiate in più fasi, ottenendo uve di qualità diversa per ciascun prädikat, essere vinificate separatamente e tenute in contenitori distinti come il fuder (botte da 1000 lt), e il produttore può imbottigliare queste partite separatamente. Anzi, alcuni produttori con questo numero indicano esattamente il fuder dal quale il vino proviene.
Nulla lo spaventa: ha studiato, snocciola a memoria i più incensati vigneti di tutte le maggiori zone di produzione e conosce il significato dei loro esotici nomi: l'esperto conosce i più incensati vigneti delle maggiori zone di produzione e il significato dietro ai loro nomi, oltre a ricordarne le caratteristiche specifiche e le annate migliori dei loro vini Wehlener Sonnenuhr (meridiana di Wehlen), Bernkasteler Lay (ardesia di Bernkastel), Ürziger Würzgarten (giardino delle spezie di Urzig), Graacher Himmelreich (regno del cielo di Graach), Erdener Prälat (vescovo di Erden), Erder Treppchen (scaletta di Erden), Monziger Frühlingsplätzchen (la piazza della primavera di Monzig), Schlossböckelheimer Kupfergrube (la miniera di rame di Schlossböckelheim), Kastanienbusch (bosco di castagni), e ancora Brauneberger Juffer Sonnenuhr, Zeltinger Schlossberg, Graacher Domprobst, Bernkasteler Badstube, Scharzhofberg, Niederhäuser Hermannshöhle, Lorenzhofer, Abtsberg, Oberhäuser Brücke e potrebbe andare avanti per ore. Conosce le caratteristiche specifiche di molte di esse e, ovviamente, in quali annate hanno dato i vini migliori in base allo stile di vinificazione dei suoi produttori del cuore: Egon Müller, Fritz Haag, Markus Molitor, J.J. Prüm, Dönnhoff, Weingut Karlsmühle, Dr. Loosen, Von Schubert-Grünhaus, Karthäuserhof, Manz Weingut, Keller, Künstler e così via.
Il fissato-ma-consapevole è totalmente ammaliato da questi vini, ne apprezza la purezza, la longevità e l’impareggiabile capacità di evoluzione. Per quanto sia sciocco generalizzare, lui sa che nella loro lunga vita questi vini conoscono momenti evolutivi molto diversi, con enormi ricadute sul profilo gusto-olfattivo. Nei primi due o tre anni dalla vendemmia sono le note primarie, sul frutto, a farla da padrone. La fase successiva, che può durare anche più di quattro o cinque anni, è segnata da una decisa introversione aromatica ed al sorso spiccano quasi esclusivamente acidità e dolcezza. Ma il wine geek ha pazienza (e ottimi pusher di bottiglie mature), perché sa che è dopo otto/dieci anni dalla vendemmia che inizia lo sballo: i profumi maturano e si sviluppano per intensità e complessità, le sensazioni dolci progressivamente si affievoliscono integrandosi compiutamente ad acidità e mineralità, quindi entrano in gioco quelle famose note terziarie, pressoché uniche nel loro genere, che spaziano dall’incensato al balsamico, fino alle mitologiche nuance idrocarburiche che lo fanno scodinzolare dalla gioia.
Duro e puro, il nostro esperto, sa di conoscere tutte queste cose, e se ne compiace mentre scruta le mappe dei vigneti appese alle pareti del suo studio. Ha addirittura costretto un’amica di madrelingua tedesca, peraltro astemia, ad insegnargli la corretta pronuncia di termini e nomi, ed ora si diverte a bacchettare gli ignari improvvisatori. Ha speso una piccola fortuna in corsi, bottiglie, eventi e vacanze a tema. il wine geek col tempo e l'esperienza è riuscito a dimenticare la terribile serata in cui sbagliò tutto, portando in dono una bottiglia di giovanissimo riesling auslese dall'acidità tagliente È così che, dopo venti anni, ha finalmente esorcizzato il ricordo di quella terribile serata in cui, ancora giovanotto, decise di portare una bottiglia di Riesling in dono alla famiglia della sua (allora) fidanzata: lo aspettava la prima cena ufficiale, quella di presentazione. Il (mancato) suocero si spacciava per grande conoscitore di vino, mentre lui era ancora alle prime armi, ma ci teneva a fare una bella figura. Scelse un Auslese quasi alla cieca: costava più degli altri, sperava fosse migliore e molto probabilmente lo era. Quando qualcuno decise di stapparlo quella sera stessa, rischiò l’infarto. Parlandone col suocero finto-esperto confuse per tutta la sera il nome del produttore con quello della vigna, e si slogò la lingua balbettando in un improbabile tedesco maccheronico. Ma fu la smorfia che segnò, già dal primo, timido sorso, i volti delle signore a decretare il suo orrendo fallimento: abbinare un giovanissimo Auslese della Saar, dall’acidità tagliente, ancora affatto integrata al cospicuo residuo zuccherino, con dei ravioli di pesce alla bottarga era – a dir poco – un’eresia, come metallo pesante al palato. La bottiglia venne relegata in un angolo del tavolo, abbandonata al suo destino, ma lui non la dimenticò mai. Quel che invece oggi il nostro inossidabile wine geek non riesce proprio a spiegarsi è perché, ora che può discettare per ore sul meraviglioso mondo del Riesling tedesco, che si lancia in dotte speculazioni sui riflessi dei diversi tipi di terreno e del clima nel carattere dei vini, che è in grado di argomentare – con dovizia di particolari – la terziarizzazione di uno Spätlese cinquantenne e degli effetti di acidi tiolici, norisoprenoidi, beta-damascione, vitisperane e trimetril-diidronaftalene, perché, proprio adesso, nessuno più lo inviti a cena.
Ah, e con le parolacce per oggi basta.
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